FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3827709
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Manifesto: Ricerca, la «fuga dei precari»

Manifesto: Ricerca, la «fuga dei precari»

Il doppio volto Ue Il 3% del Pil dovrebbe andare alla formazione. Ma gli stati tagliano

17/11/2006
Decrease text size Increase text size
il manifesto

Francia e Usa. Anche questi due paesi perdono appeal e ricercatori dall'estero
Il problema in Italia non è la «fuga dei cervelli» ma la valorizzazione della forza lavoro intellettuale. La precarietà non consente di attirare talenti dall'estero. E la «migrazione» va intesa come critica alle politiche nazionali. Un percorso di lettura per orientarsi sul mondo della «conoscenza»
Benedetto Vecchi
La società della conoscenza è stata a lungo il luogo a cui il pensiero democratico europeo e non solo si è applicato. La produzione, la trasmissione e la circolazione del sapere sono stati considerati fattori qualificantidi una società che prendeva congedo dal '900 per avventurarsi inun futuro dove i «cervelli» diventavano la materia prima della produzione di ricchezza. La serie infinita di testi, appelli, seminari, riunioni ministeriali dedicati all'argomento sottolineavano che gli stati-nazione e le imprese dovevano compiere una propria e vera «rivoluzione culturale» che aveva la sua base materiale nello spostamento di sempre più risorse verso la «formazione», la ricerca di base e quella applicata. Al punto che nella ormai famosa assise di Lisbona di oltredieci anni fa l'Ue considerava strategico un obiettivo: ogni paese membrodoveva investire il3%del prodotto interno lordo nella formazione. Emergeva però una contraddizione. Ogni paese europeo vedeva, di anno in anno, una contrazione significativa del bilancio statale destinato alla formazione e alla ricerca. Lo stesso si può dire delle imprese che, fatta eccezione per la chimica e le biotecnologie, hanno preferito agli investimenti in ricerca e sviluppo il casinò della finanza. La conoscenza veniva così immolata ai pareggi di bilancio o al profitto di medio termine. Ed è proprio al tramonto del '900 che comincia a farsi strada, in tutta Europa, il timore di una inarrestabile «fuga dei cervelli» verso lidi meno deprimenti di quelli «casalinghi». E quando la Francia, paese da sempre attento e prodigo di finanziamenti alle proprie università e centri di ricerca, annunciava che avrebbe tagliato il proprio bilancio statale in questi settori accadde l'imprevisto. I «lavoratori della mente», come si firmarono, stilarono un manifesto di protesta che raccolse in poco più di un mese oltre un milione di firme. Accanto al manifesto, i «camici bianchi» scelsero un'altra opzione: lo sciopero. Uno degli aspetti più interessanti di quella stagione di mobilitazione riguardava la constatazione che anche la Francia aveva cominciato a conoscere ilfenomeno dei «cervelli in fuga».Mafenomeno tuttora poco indagato era il fatto che Parigi avesse perso parte del proprio appeal per ricercatori, docenti, studenti «stranieri». Il problema, allora, non era solo l'aumento dei «lavoratori della mente» che espatriavano, ma che questinonfossero rimpiazzati da altrettanto numerose «materie grigie». Nella trilogia sull'«era dell'informazione » che lo ha reso famoso, lo studioso catalano Manuel Castells ha messo a fuoco un fenomeno antico,ma che si presenta con caratteristiche inedite nella globalizzazione. Si tratta della circolazione dei cervelli, cioè di quei docenti, ricercatori e studenti che recidono il legametra il loro paese d'origine e il lavoro o lo studio. Che la libertà di movimento sia una delle caratteristiche delle comunità scientifiche è cosa nota mariguardavaunaminoranza, e lospostamento da un paese all'altro si verificava pur sempre all'interno di una tensione da parte dello stato-nazione a «contenere» tale libertà di movimento. La lezione dell'emorragia di ricercatori, scienziati, intellettuali dalla Germania nazista era stata così ben appresa che ogni stato europeo era attento a promuovere i propri «cervelli», anche a costo, come è accaduto in Italia, di salvaguardare un'organizzazione feudale dell'università.Ciò che invece è accaduto negli ultimi lustri è un cambiamento significativo dal punto di vista di ricercatori, docenti e studenti. L'appartenenza nazionale è un limite, mentre la «migrazione» è percepita come una scelta che consente di partecipare a una produzione intellettuale su base mondiale. I «cervelli in fuga » sono quindi da intendere come una critica alle politiche nazionali sulla ricerca - la riduzione dei finanziamenti, la gabbia d'acciaio della proprietà intellettuale che impoverisce la produzione culturale - ma nasconde anche il fatto che la circolazione e la condivisione della conoscenza sono l'apriori di qualsiasi produzione intellettuale. Manuel Castells coglie una tendenza planetaria che ha, ad esempio in Italia, un risvolto tutto in negativo. Non solo perché c'è unapoliticadidismissione da parte dello stato che è confermata anche dall'attuale governo, ma soprattutto perché si accompagna a una precarizzazione del rapporto lavorativo. Anche la circolazione di cervelli prevede un tasso variabile di precarietà,ma incontra eterogenee strategie di valorizzazione della prestazione lavorativa. In un recente volume dello studioso statunitense Richard Florida - La class classe creativa spicca il volo,Mondadori - viene presentato uno spaccato di un paese, gli Stati uniti, che da sempre si è avvantaggiato della circolazione dei cervelli. Florida sostiene però che da alcuni anni non è più così, visto che gli Usa sono scesi molto in basso nella graduatoria dei paesi scelti da ricercatori, docenti e studenti che vogliono lavorare o studiare in centri d'eccellenza. Anzi, si assiste anche negli States auna progressiva fuga di cervelli che non ha precedenti in quel paese. Il problema, allora, non sono i cervelli in fuga,ma le condizioni in cui avviene la produzione di conoscenza. Sicuramente la precarietà, in quanto svalorizzazione della forza-lavoro intellettuale, non aiuta ad attrarre talenti. Lo stesso si può dire delle condizioni sociali in cui c'è prestazione lavorativa, se queste sono ancora legate a rapporti servili, comeaccadenelle università onei laboratori di ricerca italiani. In altri termini, più che di cervelli in fuga il problema centrale è la valorizzazione della forzalavoro intellettuale. Fattore ignorato dai parlamenti, di oggi e di ieri.


La nostra rivista online

Servizi e comunicazioni

Seguici su facebook
Rivista mensile Edizioni Conoscenza
Rivista Articolo 33

I più letti

Filo diretto sul contratto
Filo diretto rinnovo contratto di lavoro
Ora e sempre esperienza!
Servizi assicurativi per iscritti e RSU
Servizi assicurativi iscritti FLC CGIL