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Manifesto: Retorica per un vertice vuoto di proposte

TORINO Il summit dei rettori del G8

19/05/2009
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il manifesto

Benedetto Vecchi

La decisione di far precedere gli incontri del G8 con un Summit dedicato allo stato dell'arte nella formazione universitaria e della ricerca scientifica è stata presa in pompa magna lo scorso anno a Sapporo dai rappresentati dei governi nazionali e dei rettori di molte prestigiose università. Il Summit doveva essere anche il momento per affinare e armonizzare una governance dei diversi «sistemi della formazione» che deve avere l'attiva partecipazione non solo degli esponenti politici, ma anche dei rettori degli otto paesi più industrializzati del mondo e una costante interlocuzione con il mondo delle imprese. Questo italiano è dunque da considerare come la «prima» della messa in scena di competenze, proposte di «modernizzazione» dell'università e della ricerca di base, che ha anche visto ospiti di primo piano, cioè i rappresentanti di alcuni paesi «emergenti» (Brasile e Cina) e di realtà nazionali del Mediterraneo, come è infatti accaduto la scorsa settimana a Palermo.
Grandi sponsor di questo Summit sono stati proprio i rettori di quei «centri di eccellenza» che la retorica neoliberista sull'università ha indicato come modelli per introdurre una logica mercantile nella formazione. D'altronde, in Italia la conferenza dei rettori, la Crui, è stata più volte indicata dai diversi governi che si sono succeduti come la controparte o leva politica per legittimare riforme della formazione universitaria e la costante riduzione dei finanziamenti pubblici all'Università. Il ministro Mariastella Gelmini ha invece scelto un low profile, visto che il centrodestra poco può mettere in mostra, se non una riforma della scuola all'insegna di una riduzione ulteriore della percentuale di prodotto interno lordo destinata alla ricerca e all'università. Basso profilo che, almeno nelle dichiarazione, non appartengono invece ai rappresentanti di paesi come Stati uniti, Germania e Inghilterra. In una delle prime dichiarazioni da presidente degli Stati uniti, Barack Obama ha subito detto che l'impegno della sua amministrazione nei confronti dell'istruzione seguirà altre strada da quelle battute da George W. Bush. Che tradotto, vuol dire: aumento dei finanziamenti per la ricerca di base e «diritto all'accesso» all'istruzione per tutti gli statunitensi.
La Germania, dal canto suo, è l'unico paese europeo che ha provato a rispettare gli impegni presi dall'Unione europea di valorizzare la formazione e la ricerca affinché il vecchio continente potesse entrare nel regno della «società della conoscenza». La Francia di Nicolas Sarkozy invece arriva a Torino con le università in ebollizione perché considerano le proposte del presidente francese un'ulteriore tappa di una «guerra alla materia grigia» intrapresa dai governi di Parigi. I rettori inglesi e l'establishment scientifico hanno invece il problema di riqualificare la propria «offerta formativa» e i propri laboratori di ricerca, lasciati alla deriva del mercato durante la controrivoluzione neoliberale e il neoliberismo temperato del New Labour.
Così, se l'Inghilterra poteva vantare centri di qualità nella mappatura del Genoma e nelle biotecnologie e nel favorire lo sviluppo di «industrie della creatività», ora le università e i centri di ricerca inglesi stanno cercando la via d'uscita dalla loro perdita di prestigio internazionale. Meglio sta sicuramente la Spagna, che ha investito e molto per far diventare gli atenei spagnoli «poli di attrazione» per i cosiddetti «cervelli in fuga» dall'America Latina e anche da alcuni paesi europei.
Che l'università e la ricerca siano da ritenere chiavi di accesso al rilancio dell'economia non trova nessun dissenso. Lo testimoniano l'India e la Cina, che oramai dispongono di centinaia di milioni di fisici, chimici, matematici, biologi. Settori dell'high-tech che possono determinare innovazione dei prodotti e del processo produttivo, ma anche sviluppo di settori ritenuti strategici nel prossimo futuro, come sono le biotecnologie, la ricerca su nuovi materiali e per l'energia. Ed è attorno a questa convinzione che è maturata l'idea di un Summit sull'università dei paesi del G8. Certo la crisi economica ha reso l'appuntamento meno «epocale» rispetto alle intenzioni originarie. Alcuni paesi hanno infatti dovuto congelare i finanziamenti ulteriori all'università; altri l'hanno drasticamente ridotti. In tutti i casi siamo ben lontani da quella soglia minima del 2,5 per cento del prodotto interno lordo ritenuta indispensabile per avviare il circolo virtuoso tra forza-lavoro qualificata e innovazione. Dell'ordine del discorso presentato in pompa magna a Sapporo rimane tuttavia uno degli elementi qualificanti della ricetta neoliberista per l'università: la sincronizzazione tra formazione, ricerca e mondo delle imprese attraverso il forte afflusso di capitale privato nelle casse degli atenei.
Il sospetto è che il Summit di Torino sia solo l'occasione per i rettori e i governi nazionali per ripetere appunto la via mercantile alla formazione e nulla più. Generiche sono infatti le frasi dedicate appunto al linkage tra università, ricerca e imprese, ritenuto da molti premi Nobel così soffocante da inibire la ricerca di base. Vaghi accenni sono invece dedicati alla crisi economica, che quando viene evocata sembra di leggere gli effetti di uno tsunami. E infatti poco e nulla viene detto su come invertire la tendenza all'impoverimento della «materia grigia». Cioè che è venuto il momento di «resettare» il modello neoliberista e pensare che gli investimenti nel sapere e la sua autonomia dal mercato sono un investimento sul presente e sul futuro.


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