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Manifesto: Prodi, Nessuna marcia indietro sulla legge per la cittadinanza agli stranieri

Cittadinanza, il governo conferma i cinque anni e pensa a corsi di italiano nelle scuole

19/08/2006
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il manifesto

Cittadinanza, il governo conferma i cinque anni e pensa a corsi di italiano nelle scuole
Cinzia Gubbini
Nessuna marcia indietro sulla legge per la cittadinanza agli stranieri: il premier Romano Prodi, dalla sua tappa vacanziera a Castiglione della Pescaia, ha azzerato le voci su possibili ripensamenti della maggioranza. I titoli di alcuni giornali avevano accreditato manovre in corso per venire incontro ai desiderata di una parte dell'opposizione, che in parlamento offrirebbe il suo appoggio al ddl Amato se il tempo di attesa per diventare cittadini venisse alzato da cinque a sette anni. «Il governo intende mantenere fermo il riconoscimento della cittadinanza italiana agli immigrati dopo cinque anni di soggiorno», ha detto il presidente del consiglio. E commentando il caso dell'omicidio della ragazza pachistana a Brescia, ha spiegato di essersi a lungo consultato con il ministro per le pari opportunità Barbara Pollastrini per valutare la possibilità che lo stato italiano si costituisca parte civile nel processo al padre di Hina: «Abbiamo fatto questa scelta per rafforzare il senso del rispetto per la persona umana. E' interesse comune sottolineare l' importanza dei diritti fondamentali. Si è trattato di un diritto efferato che non c'entra nulla con l'acquisizione della cittadinanza».
Che non c'entri nulla è certo, visto che Mohammed Saleem, il padre della ragazza, risiedeva in Italia da quasi vent'anni, ma è altrettanto certo che il delitto bresciano ha rifornito di cartucce chi spara sulla apertura proposta dal governo. Ieri la presidente delle donne marocchine Souad Sbai, membro della Consulta islamica, ha inviato una lettera al ministro dell'interno Giuliano Amato affinché si discuta in seno alla Consulta della violenza sulle donne musulmane che, ha scritto, «vivono nel terrore». Il ministro è stato in questi giorni il principale indiziato di un ripensamento sul termine dei cinque anni, ma dal Viminale smentiscono con decisione. «Polemiche ferragostane», tagliano corto, ricordando che il disegno di legge è stato scritto dal ministro, che quindi è il più convinto sostenitore dell'impianto. Ma sulle «prove» necessarie per attestare l'«italianità», cosa proporrà la maggioranza? Su questo punto ci si affida molto al dibattito parlamentare, e soprattutto a un espediente «formale»: la legge non potrà certo contenere dettagli tecnici, dunque le formule concrete - test, corsi, esami - verranno rinviati ai decreti attuativi. Resta ferma l'indicazione dell'accertamento della lingua italiana e della conoscenza dei principi costituzionali (il ddl parla anche di «integrazione sociale»).
Ma intanto qualcuno inizia a muoversi per rispondere a chi chiede in che modo il governo pensa di facilitare l'integrazione, dopo cinque anni di vuoto assoluto sul tema. Ci sta pensando ad esempio il ministro dell'istruzione Giuseppe Fioroni, che ha chiesto proprio in questi giorni i dati sui ragazzi stranieri inseriti nelle scuole e sullo stato in cui versano i cosiddetti «ctp», cioè i centri per l'educazione degli adulti, che teoricamente potrebbero attivare i corsi di italiano per i «candidati» alla cittadinanza. Nei ctp già oggi molti immigrati imparano l'italiano, ma su questo fronte manca da sempre una politica complessiva. «E invece è fondamentale che la scuola e l'università mettano le proprie risorse a disposizione per affrontare questa sfida», dice Maria Chiara Acciarini, sottosegretaria al ministero per le politiche della famiglia, altro dicastero interessato dal rebus integrazione. «Nulla arriva miracolosamente, dunque se è giusto che la legge preveda per i nuovi cittadini un'adesione ai nostri principi, parallelamente devono essere forniti strumenti. Penso alla grande occasione che furono le 150 ore per chi intendeva prendere la licenza media. Dobbiamo pensare a qualcosa del genere, coinvolgendo tutti i ministeri competenti».
Ma le polemiche non si placano e a rinfocolare il dibattito ci pensa l'attivissimo - in questa pausa estiva - Mauro Fabris, capogruppo dell'Udeur alla Camera. D'accordo con l'editorialista del Corsera Ernesto Galli Della Loggia, propone di vietare ai nuovi cittadini la doppia cittadinanza. L'attuale legge italiana prevede la possibilità di avere due nazionalità. In Europa la negano - con eccezioni - Germania, Spagna, Grecia, Olanda, Lussemburgo e Danimarca. Che farà la maggioranza? Nessuna posizione ufficiale per ora. Ma si sa che Amato è un tipo meticoloso. Se il suo non ddl prevede alcun divieto, un motivo c'è. Anche perché questa sì che sarebbe una marcia indietro.


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