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Manifesto: Precari in movimento: tante iniziative prima del corteo del 3 ottobre

Il movimento dei precari è allo stato aurorale, pieno di slancio e di ingenuità. Ma vero come le vite difficili dei lavoratori - docenti e non docenti - che lo compongono.

18/09/2009
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il manifesto

Francesco Piccioni
Il movimento dei precari è allo stato aurorale, pieno di slancio e di ingenuità. Ma vero come le vite difficili dei lavoratori - docenti e non docenti - che lo compongono.
Vero come la conferenza stampa convocata ieri tra tende e cucina da campo, in pieno viale Trastevere, proprio davanti alle finestre del ministro Gelmini. Parlano della manifestazione convocata a Roma per il 3 ottobre, un sabato, quando molte delle scuole sono chiuse, proprio per permettere a tutti di partecipare; lavoratori in cattedra e docenti a spasso, genitori preoccupati e studenti sovraffollati.
Vero come l'indignazione frenata che li anima. Parlano della loro piattaforma rivendicativa - già riportata più volte su queste pagine - per sottolineare i «punti centrali», quelli che la qualificano come «unificante tutto il mondo della scuola», «non corporativa». Sanno di essere una parte, numerosa ma dispersa, di quel mondo. E sanno anche che la ristrutturazione che li sta triturando si traduce in smantellamento dell'istruzione pubblica, abbassamento della qualità, sovvenzioni a fondo perduto alle scuole private e confessional-cattoliche. Sanno perciò di essere un «soggetto parziale» che rappresenta però, vivendolo sulla propria pelle, un «interesse generale».
Hanno faticosamente costruito un Coordinamento nazionale che raccoglie - a ieri - strutture di oltre 50 province. Ma la lista si allunga di giorno in giorno. Non male per un insieme spontaneo che ha dato la prima manifestazione di vita soltanto il 15 luglio di quest'anno, con un sit-in sotto il Parlamento di cui pochi preconizzavano il successo. Poi hanno preso fiducia. E consapevolezza delle proprie ragioni, addirittura «costituzionali». E hanno imposto di fatto la propria agenda alle organizzazioni sindacali che tardavano - per motivi molto diversi da sigla a sigla - a prendere atto dello sfascio incipiente e quindi a contrastarlo con iniziative di massa appropriate. Lo si capisce dal rispetto silenzioso con cui diversi sindacalisti di lungo corso (Cobas, Flc Cgil, RdB-Cub) lavorano con loro senza pretedere stupidi protagonismi di bandiera. «Un movimento deve essere aperto a tutti, altrimenti non può reggere», spiegano i precari, pazienti, davanti ai taccuini.
Altrimenti non sarebbe stato possibile che in molte scuole i collegi dei docenti votassero un ordine del giorno contro i tagli decisi dal governo; oppure che molti insegnanti di ruolo rifiutassero orari di cattedra superiori alle 18 ore contrattuali (lo sconquasso organizzativo provocato dalla «circolare» ministeriale è stato potenziato da un'interpretazione rovesciata della «deroga» prevista al superamento del limite: da «possibilità autodeterminata» dei singoli docenti di arrivare anche a 24 ore per condurre progetti particolari, decisi con il preside, a «straordinario preventivo obbligatorio» in previsione della necessità di «supplire all'assenza di supplenti»).
Un movimento aurorale e con molte comprensibili ingenuità, si diceva (ne è un esempio la convocazione di una conferenza stampa in cui il contenuto era stato totalmente anticipato nei comunicati; vedi il manifesto di ieri). Ma senza esagerazioni naif. Se i sindacalisti che ancora si interessano a quel che avviene nella «base» hanno stabilito da subito un rapporto corretto con questi lavoratori, non altrettanto si può dire di partitini e altre concrezioni «gruppettare» che provano a scambiare la dovuta solidarietà al movimento con una sovraesposizione di sé davanti ai media. Un modo parassitario di «far politica mediatica» proprio dei due decenni passati. E che sarebbe ora di sbianchettare


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