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Manifesto: Manuale del buon conservatore

Costituzione a rischio Stefano Rodotà: cosa si può cambiare e cosa no

25/06/2006
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il manifesto

Chi vuole cambiare la Carta del '48 è un buon innovatore, chi la difende è un cattivo conservatore: questo è stato il ritornello della riforma costituzionale per molti anni e anche in questa campagna referendaria. Lo smontiamo in questa intervista con StefanoRodotà: è buon conservatorismo volere che la nostra resti una Repubblica parlamentare e non volere sacrificare la rappresentanza a vantaggio della decisione e dell'investitura del Capo. E dopo il referendum, se il No vince, la «manutenzione» della Cost

Ida Dominijanni

Con Stefano Rodotà non c'è bisogno di tornare sul giudizio negativo sulla controriforma costituzionale della Cdl, pubblicamente espresso da lui più e più volte. Ragioniamo invece sull'alternativa conservazione-innovazione che da anni monopolizza il dibattito sulla riforma costituzionale, schiacciando sul polo negativo della conservazione chi difende la Carta del '48 e sul polo positivo dell'innovazione chi vuole riformarla e in qualsiasi modo. Una semplificazione irritante che riflette sulla materia costituzionale la logica altrettanto semplificante vecchio/nuovo che dall'89 in poi pervade il dibattito politico italiano.

Ti iscrivi al partito dei conservatori?

Senz'altro sì. Se essere conservatori significa presidiare i fondamenti della nostra democrazia che oggi sono in gioco, i valori e i principi ispiratori del patto fra i cittadini, le garanzie di libertà, sono un conservatore. Se essere conservatori significa opporsi al «pensiero debolissimo» degli ultimi anni, un pensiero dimissionario di ogni elaborazione autonoma e pronto a lasciarsi attraversare e a farsi dettare l'agenda da tutto quello che viene dal campo opposto, sono un conservatore. Un «nobile conservatore», come si dice ora a mo' di insulto.

Ma su questo tutti, a sinistra e a destra, sarebbero prionti a dirsi d'accordo. Da anni si dice: i valori e i principi, cioè la prima parte della Costituzione, non si toccano, però bisogna cambiare la seconda parte, cioè l'ordinamento. E infatti formalmente la riforma della Cdl riscrive la seconda parte, ma non tocca la prima...

Formalmente no, in realtà la tocca eccome: la devolution fa a pezzi il principio di uguaglianza. Ma non è solo questo il punto. Prima e seconda parte della Costituzione non si possono separare con un taglio netto. La prima parte, quella dei valori, dei diritti e delle libertà, è una tavola di riferimento, un progetto da realizzare, serve a dare il tono ai programmi politici: è questo il lascito del costituzionalismo novecentesco. Dire formalmente che non la si tocca per poi tradirla nella legislazione ordinaria è il modo migliore e più strisciante per passarci sopra coi cingoli. Ed è precisamente quello che sta avvenendo. Quando con la legge 40 si vieta l'accesso alle tecnologie riproduttive alla «donna sola», si legifera contro l'articolo 3 della Costituzione. Quando si attacca l'autonomia della magistratura, si legifera contro il sistema dei diritti e le garanzie delal loro applicazione. E' sulla legislazione ordinaria,non meno che sulla riforma costituzionale, che si sta giocando la partita sui principi fondamentali.

Tuttavia l'innovazione continua a essere sbandierata come un valore in sé positivo. Di che tipo è stata l'innovazione costituzionale proposta in questi anni?

E' stata un'innovazione che invece di incidere sui punti deboli della Costituzione ha puntato a modificare il profilo della nostra democrazia. Che è una democrazia rappresentataiva, con pesi, contrappesi e garanzie che la immunizzano da derive plebiscitarie, e tale deve rimanere. Invece l'innovazione costituzionale che va per la maggiore considera la decisione il bene supremo, a scapito della rappresentanza. Non va dimenticato il ruolo che ha giocato in questa deriva il cambiamento della legge elettorale e l'introduzione del maggioritario col referendum del '93. All'epoca mi schierai contro - ero per il modello tedesco - e oggi penso che i tempi siano maturi per un ripensamento critico anche in chi fu a favore. Continuare a sostenere che ci abbiamo guadagnato il bipolarismo significa ignorare il fatto che con il maggioritario il sistema istituzionale ha funzionato in modo da avvantaggiare Berlusconi. E' col maggioritario che si diffonde, anche a sinistra, l'idea che le elezioni hanno una funzione di investitura del capo, il quale può fare quello che vuole, dopodiché al turno elettorale su ccessivo gli elettori possono mandarlo a casa. In pochi anni siamo diventati quello che Rousseau temeva, «liberi il giorno delle elezioni e schiavi tutti gli altri giorni».

E' cattiva innovazione dunque quella basata sulla governabilità, la decisione, la verticalizzazione del potere a scapito della rappresentanza. C'è invece una innovazione buona?

E 'buona innovazione quella coerente con la prima parte della Costituzione, volta a sviluppare la partecipazione - ad esempio con il diritto di petizione e di iniziativa popolare -, e scevra dalla pretesa di sfigurare o deprimere il carattere parlamentare della Repubblica.

Ammesso che al referendum vinca il No, quante possibilità vedi che il centrosinistra segua una pista di questo tipo?

Prima che alle forze politiche, bisogna prestare ascolto a quello che dicono i garanti della Costituzione, a cominciare dal presidente della Repubblica. E Napolitiano di recente ha detto una cosa importante: che sulla riforma costituzionale il confronto va ripreso in parlamento. Il che esclude l'assemblea costituente e anche un'ennesima bicamerale, e restituisce alla sua sede propria il compito di manutenzione della Costituzione. Anche il percorso delineato dal ministro per le riforme, Vannino Chiti, mi pare corretto: per prima cosa si riformi il 138, aumentando il quorum necessario in parlamento per riformare la Costituzione. Poi si dovrebbero individuare le materie indisponibili alla revisione, seguendo le indicazioni di una importante sentenza della corte costituzionale. Dopodiché si può passare a ripulire la riforma del titolo V fatta dal centrosinistra, che è stata anch'essa sbagliata nel metodo e nel merito, e a riformare il bicameralismo, che ne ha bisogno. E a rifare la legge elettorale, materia extracostituzionale ma rilevantissima per le conseguenze sulla forma di governo e sul sistema dei poteri nel suo insieme.

Sostieni giustamente che bisogna riportare il processo di manutenzione costituzionale al parlamento. Però non possiamo nasconderci che da svariate legislature il parlamento non brilla per competenza e tecnica giuridica. Anche questo è un problema, o no?

Sì, ma non lo si può risolvere spostando altrove una funzione che deve restare sua. Non mi piace l'idea della «convenzione» di politici ed esperti che è venuta fuori di recente. Sarebbe un'ennesima commissione con poteri redigenti,che elabora un progetto di riforma complessiva di fronte al quale il parlamento alla fine deve prendere o lasciare. Basta con la logica del «pacchetto» di riforme: la Costituzione si modifica in parlamento, con interventi puntuali e puntiformi. In un parlamento, mi auguro, aperto all'ascolto di competenze e contributi esterni, che certo saranno più vivaci ora che col referendum l'opinione pubblica sembra essersi un po' risvegliata.

Tu hai partecipato da protagonista alla stesura della Carta dei diritti europea. Non pensi che una revisione della Costituzione sia necessaria anche per raccordarla al processo costituente europeo?

No.E non vorrei che accadesse su scala europea quello che è già accaduto su scala nazionale, e cioè che il discorso sulla riforma della Costituzione servisse a supplire una mancanza di iniziativa politica o a coprire problemi politici. Quello che è importante è che il processo politico di costruzione dell'Unione europea riparta, e che la Carta dei diritti acquisti valore vincolante per tutti gli stati membri: l'Italia ne trarrebbe giovamento.

Tu sei anche il giurista italiano più sensibile alle questioni di bioetica. Non pensi che alcuni in materia principi andrebbero inseriti in Costituzione?

No, non credo che sia necessario e mi parrebbe anche politicamente inopportuno. Su molte questioni di bioetica - il consenso informato ad esempio - l'articolo 2 della Costituzione, relativo allo sviluppo della personalità, ci dà una bussola sufficiente. Su altre - ad esempio la clonazione - basta la Carta europea dei diritti, su altre soccorre la convenzione europea sulla biomedicina. C'è materia giuridica quanto basta.


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