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Manifesto-Manifestazioni nelle università, non è che l'inizio

Manifestazioni nelle università, non è che l'inizio Sindacati, docenti e ricercatori annunciano lo sciopero generale e una mobilitazione nazionale se e quando il ddl Moratti arriverà in aula a...

13/11/2004
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il manifesto

Manifestazioni nelle università, non è che l'inizio
Sindacati, docenti e ricercatori annunciano lo sciopero generale e una mobilitazione nazionale se e quando il ddl Moratti arriverà in aula alla camera. Poi avvisano: "La Crui non scenda a patti con il governo"
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Non è che l'inizio, dicono in coro i sindacati confederali e tutte le associazioni dei docenti al termine della loro 24 ore di protesta contro le riforme del ministro Moratti. E in un certo senso è così, visto che dall'università si passa già da lunedì allo sciopero della scuola e alla manifestazione mondiale degli studenti decisa al forum sociale di Bombay per il 17 novembre. Gli atenei italiani restano in agitazione, anzi, sindacati confederali e docenti annunciano uno sciopero generale a metà dicembre e, quando e se il ddl Moratti arriverà in aula alla camera, una nuova manifestazione nazionale. "Finora abbiamo solo fatto un'opera di comunicazione all'esterno e di ricognizione dei problemi, le lezioni in piazza e le moltissime proteste autoorganizzate sono servite anche a questo -spiega Paolo Saracco, Flc-Cgil - ma la protesta vera deve ancora iniziare". "Finora un bellissimo segno sotto il cielo, ma non finisce qui", chiosa il segretario generale Enrico Panini.

Le proteste proseguono anche nel resto d'Italia. Ieri più di 300 persone - docenti, tecnici, ricercatori e studenti - si sono riunite all'università di Cagliari per un'assemblea generale a cui ha partecipato anche il rettore. Anche qui la conditio sine qua non è il ritiro del ddl Moratti e l'apertura di un vero confronto con chi negli atenei studia e lavora.

A sentire i protagonisti, del resto, per descrivere la situazione della didattica e della ricerca universitarie non basta più neanche la logora categoria del "declino italiano": vengono imposte nuove riforme mentre ancora si subiscono gli effetti (spesso nefasti) di quelle precedenti. Si inaugurano nuovi istituti, vedi l'Iit di Genova, senza che vengano finanziati o funzionino quelli esistenti. Si "riorganizza" il Cnr (di cui non si è più sentito parlare dopo la riforma annunciata in pompa magna) mentre l'Italia, unico grande paese europeo - altro record morattiano -, decide di non aderire al Consiglio europeo delle ricerche, rischiando di fatto di sabotarne l'istituzione.

Mentre la protesta coinvolge migliaia di persone in pianta stabile e in ogni dove, il governo è indeciso sul da farsi. Valuta le forze per andare o meno allo scontro irreversibile con tutti, dai rettori in giù, oppure se "fermare le macchine" e imboccare percorsi alternativi.

Ieri il viceministro con delega alla ricerca, Guido Possa, ha cercato di tranquillizzare tutti, in fondo "il ddl sullo stato giuridico sarà approvato tra sei-sette mesi", ha detto. Un modo come un altro per prendere tempo, per dire e non dire. Possa ha difeso l'abolizione del ruolo dei ricercatori, che "li pone in un ruolo non più precario ma a termine, in 5 o 10 anni o si diventa professori oppure si passa a lavorare nelle industrie". Un sistema che darebbe "ai giovani molte più possibilità di fare ricerca" assicura Possa. Più correttamente poi il viceministro ha sottolineato che il recente incremento (+40%) del numero dei professori ordinari a scapito dei ricercatori è stato deciso dagli atenei nella loro autonomia e si è pilatescamente augurato che per il 2005 il governo non blocchi le assunzioni nel comparto.

Dalla conferenza dei rettori intanto arrivano cenni di "segnali incoraggianti" per l'esito delle trattative con il governo, anche se si nega che ci sia un tavolo "fisico" di confronto. Le porte, per usare un'altra metafora, sono sempre aperte e anche ieri, prima di volare in Giappone, la ministra Moratti ha sentito il presidente dei rettori Piero Tosi. Ma la stessa Crui non si fida: finché non c'è niente di definito e di concreto le bocce restano ferme. Almeno e soprattutto in pubblico. Ieri Tosi ha di nuovo "sposato" la protesta negli atenei: "E' opportuno che le comunità accademiche manifestino la loro posizione e la loro unità". Tra i rettori e il movimento, fa capire Tosi, non ci sarebbero rotture ma solo una pura diversità di ruolo istituzionale. Il fine, a sentire gli interessati, sarebbe lo stesso. Tosi parla del dialogo con cautela: "A questo punto tutto è possibile, bisogna proporre nuove soluzioni che possano essere condivise dall'università". Le posizioni sarebbero ancora distanti, in particolare sull'Irap e sullo sblocco delle assunzioni. Sempre Tosi ha rilanciato l'allarme: "Tra il 2012 e il 2016 il 45 per cento dei docenti e dei ricercatori andrà in pensione, se non provvediamo oggi con un numero adeguato di sostituzioni rischiamo di far morire l'università".

Anche alla 24 ore romana si è parlato molto del ruolo quantomeno opaco svolto dai rettori. La fiducia verso la loro conferenza non è molto alta. "Siamo contenti di averli dalla nostra parte contro la riforma - dicono i sindacalisti - ma la Crui non segua un metodo scorretto facendosi portavoce di tutta quanta l'università".


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