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Manifesto: Li fate ignoranti

Si apre tra le proteste l'anno scolastico dell'era Gelmini. Per Tullio De Mauro siamo un paese che punta a una scuola senza qualità. E in classe dovrebbero tornare anche gli adulti.

14/09/2010
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il manifesto

Luca Fazio

Primo giorno di scuola. Tullio De Mauro, uno dei più importanti linguisti a livello europeo, ex ministro della pubblica istruzione, preferirebbe sorvolare sulla stretta attualità.

Professore, dobbiamo. Che ne pensa della riforma Gelmini e del clima che si è creato attorno alla scuola?
Che il clima sia brutto lo testimoniano le proteste dei precari, ma anche degli insegnati e dei genitori. I motivi sono diversi e strutturali, ma vorrei dire che le responsabilità non sono solo di questo governo. Gli istituti sono fuori norma, nelle scuole non è stato rimosso l'amianto, il numero degli alunni per classe deborda, per non parlare dei problemi mai affrontati, le carriere dei docenti, gli stipendi bassi, l'abbandono scolastico più alto d'Europa...

In più, su queste sciagure strutturali si abbatte la riforma Gelmini.
Vorrei cominciare col dire una cosa forse impopolare. Il ministro ha preso anche provvedimenti positivi.

Davvero? Dica.
Finalmente ha varato un prosciugamento dei diversi canali che si aprivano dopo la scuola dell'obbligo. Il genitore poteva scegliere tra centinaia di scuole superiori diverse tra loro, un incredibile dedalo di offerte che provocava solo un'impennata di abbandoni scolastici. Gelmini ha eliminato questo sconcio silenzioso riducendo molti indirizzi specifici.

Perché non è stato fatto prima?
Per le resistenze corporative di chi insegnava in questo o quell'indirizzo. E per la disattenzione della classe politica. Berlinguer aveva legiferato nella direzione giusta, ma la sua legge decadde prima di entrare in funzione. Gelmini, invece, ha una maggioranza blindata. Quanto al resto, si è limitata ad apportare aggiustamenti molto modesti per quanto riguarda l'orario, senza un ripensamento d'insieme degli obiettivi più alti che servirebbero per migliorare la scuola.

Migliaia di precari licenziati non sono proprio un aggiustamento modesto. Dice che non servono?
Certo che servono. Se hanno lavorato fino ad ora, anche senza alcun riconoscimento, e per anni, significa che senza di loro c'erano e ci saranno vuoti in organico. Abbiamo bisogno di più personale e pagato meglio, è il bilancio dello stato per la scuola che va totalmente ripensato. Ma questa è una responsabilità di noi tutti, e la causa va ricercata nello scarso impegno intellettuale e politico di chi aveva il compito di pensare un sistema scolastico moderno. E tutto il ceto politico non l'ha compreso, non solo quei malvagi del governo. Anche voi giornalisti vi occupate della scuola solo in termini emergenziali e non di prospettiva.

In Italia abbiamo la più alta percentuale di abbandono scolastico d'Europa, una media del 20% con punte del 25% al sud. Quale impegno servirebbe per invertire la tendenza? Siamo ancora in tempo o gettiamo la spugna?
Non è mai troppo tardi. Bisogna però sapere che la risposta non è solo nella scuola, ma in un nuovo sistema di educazione rivolto agli adulti. Nei decenni passati la scuola secondaria si era finalmente aperta a tutti coloro che uscivano dalle medie, così sono potuti entrare nel circuito formativo ragazzi che in casa non avevano nemmeno un libro. Questo afflusso enorme, e molto positivo, però ha messo in crisi le strutture mentali e culturali della scuola stessa, improvvisamente ci si è trovati di fronte non ai figli della borghesia ma a una realtà dove la cultura non circola.

Intende dire che stando così le cose l'abbandono è fisiologico?
Per forza. E sa come si aggredisce? Anche fuori dalla scuola. Dobbiamo deciderci a recuperare la scolarità degli adulti, questo è il vero punto debole. Lo fanno molti paesi. Perché non sarebbe possibile organizzare alcuni mesi di cicli formativi durante la vita lavorativa? Anche pagati.

Sembra che gli italiani abbiamo subìto un corso di dealfabetizzazione accelerato... solo il 20% degli adulti possiede gli strumenti minimi per comprendere un testo. E' la realizzazione della «dittatura morbida», come scrive nell'ultimo libro?
Sì. Si tratta di un'emergenza politica e democratica, con ricaschi anche nell'economia. Significa che troppi italiani non sono in grado di orientarsi nelle scelte più importanti per il paese.

Difficile che la morbida dittatura si adoperi per la rialfabetizzazione.
Eh già, a costo di sprofondare nell'argentinizzazione. Delle volte mi viene il sospetto che sia questo il motivo per cui il governo si accanisce con tanta ostinazione contro l'università.

Il 60% dei cittadini non legge nemmeno un libro all'anno. Quanta responsabilità hanno gli insegnanti? Crede che le nuove tecnologie possano essere di ostacolo?
Gli insegnanti sono parte integrante della società, anche loro sono dentro la media... La scuola dovrebbe sforzarsi di promuovere la lettura ma gli stili di vita e gli orientamenti prevalenti spingono in tutt'altra direzione, è difficilissimo invertire la tendenza. Le tecnologie possono essere molto utili, ma non dimentichiamo che solo il 50% della popolazione possiede un computer e solo il 38% naviga in internet, proprio per la scarsa propensione nella lettura. Le medie europee sono più alte.

Nei dibattiti sulla scuola il concetto di qualità è uno dei più abusati, ma cosa vuol dire, nello specifico, parlare di qualità nella scuola? Ha in mente un modello particolare?
A livello europeo sono stati indicati dei parametri di valutazione, ed è possibile fissarne alcuni sui livelli minimi di uscita: buon possesso della lingua madre, nozioni basilari di matematica, buona conoscenza di una lingua straniera. Ma soprattutto la scuola deve dare allo studente la voglia di continuare ad imparare per tutta la vita.

C'è qualcosa da salvare o salvaguardare nella scuola italiana?
Sì, ovunque si possono trovare ottimi insegnanti, a volte ne basta uno per motivare gli altri. Queste sono le isole felici, e ci sono, anche al sud. Ma tutto dipende dalla volontà degli insegnanti, quello che manca è uno standard minimo da cui siamo lontanissimi.

Faccia il ministro, anzi lo rifaccia. Punto primo del programma?
Nel '91 il manifesto mi fece la stessa domanda, e rispondo allo stesso modo. Chiederei pieni poteri economici, e poi sospenderei i diritti sindacali per cinque anni. Quando sono diventato ministro questa battuta poi me l'hanno rinfacciata... ma sa con quante sigle sindacali dovevo confrontarmi? Quarantasette... La prima battuta naturalmente è vera. Negli altri stati europei le riforme scolastiche sono sostenute in prima persona dai presidenti o dai primi ministri.

Le chiedo dei nostri politici?
Sarkozy, anche in piena crisi di popolarità, ha girato personalmente le scuole di mezza Francia. Se li immagina Berlusconi e Bersani che girano per gli istituti e si prendono la responsabilità di dire che sono disposti a stanziare un tot per la scuola pubblica? Io no, proprio non ce li vedo.


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