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Manifesto: Le amare riflessioni di un ex fisico sulla ricerca in Italia

libri

21/02/2009
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il manifesto

LIBRI: WALTER TOCCI, POLITICA DELLA SCIENZA?, EDIESSE, PP. 294, EURO 13
Enrico Alleva
Daniela Santucci
Se racconti a uno straniero che all'inizio del '900 Palermo vantava una scuola di matematica tra le più avanzate al mondo e negli anni '30 una cantina di Roma ebbe per la fisica atomica l'importanza che avrebbero avuto per l'informatica i garage vicino a Boston all'inizio degli anni '70, non ti crederà. Come non crederà che nel secondo dopoguerra al laboratorio della Montecatini lavorasse Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963. Oggi lo stato della ricerca e delle università in Italia è così miserevole (solo negli ultimi tre anni nel settore Innovazione tecnologia e comunicazione si sono persi quasi 15.000 addetti) che ci si chiede come si sia arrivati a questo punto. Ma la domanda vera e urgente è: come uscire dalla spirale che moltiplica i clientelismi, taglia i fondi e deprime la qualità? È questo il tema che affronta Walter Tocci in Politica della scienza? Le sfide dell'epoca alla democrazia e alla ricerca una raccolta di quattordici testi scritti tra il 2004 e il 2008 - saggi apparsi su riviste come La civiltà delle macchine o Il ponte, interventi al Forum della politica delle sinistre, relazioni sull'evoluzione scientifica dell'area romana, fino a un contributo su questo giornale.
Noto ai più come vicesindaco di Roma nella giunta Rutelli dal 1993 al 2001, Tocci è un ex fisico, ed è stato responsabile dei Ds per la ricerca scientifica e le università. E nel libro traspare una vena di comprensibile amarezza, visto che Tocci si dimise da questo ruolo nel dicembre 2006, dopo la prima finanziaria varata dal governo Prodi, in cui sulla ricerca e le università si abbatterono i tagli inferti da un governo «amico». Tagli che andavano contro il lavoro di progettazione, programmazione e riforma svolto da Tocci con una rete di oltre diecimila ricercatori. Eppure se l'Italia non sviluppa un'economia della conoscenza, non le sarà possibile sopravvivere in un mondo in cui non solo Cindia, ma anche le tecnocratiche capitali scandinave, ci daranno nei prossimi lustri filo da torcere.
Ma in Italia, come si chiede il titolo del libro, è possibile una «politica della scienza»? Il fatto è, dice Tocci, che la frattura fra le due culture in Italia si è consumata da tempo, e anzi una sola, quella umanistica, è considerata «cultura vera» mentre il sapere scientifico, con le sue diramazioni, è ritenuto solo «perizia tecnica». Il diffuso analfabetismo scientifico che ne deriva fa sì che qualunque decisione politica di investimento, o disinvestimento, scientifico e tecnologico (dal riscaldamento globale fino alla Tav Torino-Lione) non può essere presa in democrazia, cioè con il consenso o l'opposizione di cittadini consapevoli, ma - al meglio - in regime di imbonimento, quando non di imposizione. Il primo obiettivo, secondo Tocci, è dunque rendere possibile in Italia una democrazia nelle decisioni politiche che riguardano scienza, ricerca, università.
Ma soprattutto Tocci dimostra, con documentata competenza, che proprio una ricerca pubblica più vigorosa può aiutare a far crescere le imprese italiane, anche quelle piccole o piccolissime: il testo si rivela così assai utile per il lettore che voglia comprendere le carenze strutturali nei rapporti tra accademia, enti di ricerca e la frastagliata realtà delle imprese italiane. Per ovviare alla regressione in corso, vengono formulate proposte precise (addirittura una fase di «disarmo normativo») per correggere i distorti sistemi di valutazione oggi in atto, che aprono la via a manipolazioni del sistema, fino a casi di «mungitura automatica» di fondi pubblici, e indica vie concrete per rivoluzionare i meccanismi che s-regolano la nostra ricerca, evitare la macelleria sociale (l'espulsione in massa del precariato scientifico), promuovere l'osmosi tra zone acculturate (e perciò competitive) e aree di meno elevato standard europeo, ed escludere chi sopravvive, anzi ingrassa, grazie a compiacenti sistemi clientelari fondati su opulenti baronati accademici e affaristici.


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