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Manifesto-Lavoro, la "controriforma" possibile

Lavoro, la "controriforma" possibile Le nuove norme e il programma del centrosinistra. Intervista a Salvi (Ds) FEDERICO SALLUSTI Cesare Salvi, ex ministro del lavoro del governo Prodi, ora vice pre...

26/06/2004
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il manifesto

Lavoro, la "controriforma" possibile
Le nuove norme e il programma del centrosinistra. Intervista a Salvi (Ds)
FEDERICO SALLUSTI
Cesare Salvi, ex ministro del lavoro del governo Prodi, ora vice presidente del senato parla con noi della legge 30, delle prospettive del centro sinistra, di Europa, ma soprattutto di lavoro. All'indomani delle nuove circolari ministeriali sulla legge 30, che confermerebbero "un disegno inquietante sul quale occorre un'opera di denuncia", conversiamo con un'esponente di quella parte dei Ds che sta cercando di riportare a sinistra l'asse ulivista, soprattutto su temi "sensibili" quali le politiche sociali e del lavoro.

Le circolari di Maroni sulle agenzie del lavoro e il riordino dell'attività ispettiva daranno il via ad una serie di meccanismi che possono aggravare la condizione di insicurezza e precariato dei lavoratori.

Certamente. Le nuove agenzie private potranno somministrare tutte le tipologie di contratti, con la conseguenza che anche aziende di grandi dimensioni avranno a disposizione manodopera pur non avendo i lavoratori sotto contratto. Questo porterà ad una riduzione della sfera dei diritti, o comunque ad una loro distribuzione meno omogenea. Questa soluzione, oltretutto, è estranea al diritto europeo del lavoro, che prevede la formula del contratto standard (a tempo indeterminato e full time) con la possibilità di eccezioni. La legge 30, al contrario, pone di fatto sullo stesso piano tutte le figure contrattuali, dando quindi piena legittimazione alle forme più precarie e meno protette di lavoro. Dal lato dei diritti, il piano di riordino dell'attività ispettiva è sicuramente un duro colpo alla necessità di protezione dei lavoratori. Esprime la linea del governo ormai evidentemente tesa al sostanziale smantellamento dell'attività di controllo, lasciando sempre più solo il lavoratore nei confronti delle imprese.

La logica della legge 30 è quella della flessibilità, della semplificazione dei meccanismi del mercato del lavoro, della deregolamentazione. Una necessità, secondo quanto ci viene spiegato dai liberisti.

Si va, palesemente, verso l'americanizzazione del mercato del lavoro. L'Italia è il paese europeo che maggiormente si è aperto alla logica della flessibilità e il "pacchetto Treu" ne è stata una dimostrazione. Quella legge doveva però essere una linea di demarcazione, un solco da cui non ci si doveva muovere con ulteriori concessioni alle necessità liberiste. La legge 30 va oltre, contraddice le linee dell'Ue, ma soprattutto tradisce lo spirito di Lisbona: di "piena e buona occupazione" si sono perse le tracce. Bisognerebbe ripartire da lì, perché l'esigenza di oggi non è quella di introdurre nuove forme di flessibilità e di precariato, ma quella di produrre sviluppo occupazionale e tornare a proteggere i lavoratori. L'idea di flessibilità, oltretutto, fa parte della logica e della cultura liberista, cui, purtroppo, le forze della sinistra moderata hanno strizzato fin troppo l'occhio, ma non bisogna cedere ulteriormente.

Quella sinistra moderata che "strizza l'occhio" rappresenta un'ulteriore difficoltà nell'affrontare la battaglia contro la legge 30. Ne state discutendo in vista di un futuro programma di governo?

L'attuale riforma del mercato del lavoro è il punto più controverso all'interno del centro sinistra. Uno degli argomenti più spigolosi, ma anche dei principali. Il coraggio dovrebbe essere quello di proporne l'abrogazione e sostituirla con una legge che muova nella direzione della tutela del lavoro e del lavoratore. Bisogna diminuire l'incidenza della flessibilità e del precariato, in risposta ai quali occorre costruire appositi ammortizzatori sociali, andare contro la logica del lavoro come merce sottoposta ai meccanismi puri di mercato. La sinistra dovrebbe parlare di questi contenuti e non discutere solo delle forme di confronto. L'esperienza delle elezioni europee deve insegnare che non si può essere distanti dalle esigenze della gente, bisogna avere il coraggio di intervenire in modo profondo. In quest'ottica il ruolo dei movimenti e dei sindacati può essere di primo piano e di aiuto alla politica

L'Europa rappresenta un fattore di difficoltà, in questa battaglia per i diritti, o può essere un luogo di discussione e di confronto?

C'è una difficoltà oggettiva di questi temi ad avere una dimensione europea. Lisbona è stato il punto più alto in questo senso, ma le idee emerse si sono disperse, sono rimaste parole mute. La stessa costituzione - cui si dovrebbe votare contro - non dà alcuna risposta alle esigenze di giustizia sociale e di lavoro espresse dai cittadini e manifesta la lontananza da essi delle istituzioni. Il suo difetto più grave è stato quello di ribadire la stringenza del trattato di Maastricht, che impone maglie troppo strette alle politiche di sviluppo e alla spesa sociale dei singoli paesi. Comunque sia, la strada europea può essere battuta. Esistono infatti idee che possono essere portate avanti, posizioni come quelle dei socialisti francesi o dei governi dei paesi nordici, che meritano di essere discusse.


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