Manifesto: La scuola torna ancora al primo posto
Tantissime le lettere arrivate in redazione dopo l'intervento di Luigi Berlinguer, ex ministro della pubblica istruzione
Cari lettori
Valentino Parlato
Dobbiamo essere grati a Luigi Berlinguer. Il suo impegnato articolo «Scuola senz'arte. Ma di parte» pubblicato sul manifesto dell'8 luglio, ha suscitato grande interesse e vaste reazioni, soprattutto tra gli insegnanti. Ci sono arrivate moltissime lettere, tanto che abbiamo deciso di dedicarci un'intera pagina. E non siamo riusciti a pubblicarle tutte; lo faremo nei prossimi giorni. Il tono delle lettere è nettamente polemico, a volte con qualche ingenerosità, ma quel che più conta è che si è riaperto un dibattito sulla scuola. in questa difficile fase della nostra storia. Di qui la gratitudine nei confronti di Luigi, che certamente vorrà rispondere alle critiche e alle sollecitazioni dei nostri lettori. Non so bene se la scuola sia lo specchio della società o la società specchio della scuola. Certo è che siamo di fronte a un deterioramento della scuola (anche gli insegnanti, a cominciare dal maestro di scuola elementare, non hanno più il prestigio che avevano quando io andavo a scuola), che agisce pesantamente sulla società e, aggiungo, anche e soprattutto sulla sinistra. Cerchiamo di continuare e approfondire la discussione, non dimenticando quanto la questione scuola sia stata importante per la storia de il manifesto.
«Ancora una volta al lamento per la scuola italiana - inevitabilmente classista - si contrappone la solita semplificazione di idee e criteri educativi per cui oggi assisteremmo a uno scontro Gentile contro Bruner»
aavv.
Giovanni Gentile non c'è più
Cari compagni, ho letto con interesse, ma anche con un certo stupore l'intervento dell'ex ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer, apparso sul manifesto di domenica scorsa.
Condivido in pieno alcuni passaggi dell'analisi contenuta in quell'articolo. La convinzione, cioè, che una scuola classista non sia soltanto quella che si rivolge a un ristretto numero di persone (problema superato da qualche anno con l'estensione dell'obbligo) ma anche quella che propone saperi dogmatici e che predilige un malinteso umanismo, dividendo l'insegnamento della tecnica (in scuole riservate ai più poveri) da quello della scienza. Il ministro ha ragione.
Soltanto che gli sfugge un piccolo dettaglio, e cioè che il modello gentiliano non esiste più, e che il massimo che la scuola di oggi riesce a dare non è indottrinamento ideologico, ma nozionismo e istruzione di base. Ciò in un paese in cui i titoli di studio non hanno più valore e la selezione sociale non si fa più sulla preparazione ma secondo criteri clanici e di cooptazione. Ma allora, per quanto dogmatico, non era forse meglio il vecchio liceo classico?
Domanda che ne suscita un'altra: siamo sicuri che per democratizzare la scuola, invece di arricchirla con forme diverse di sapere nella giusta direzione indicata dal ministro, la si dovesse destrutturare e impoverire (con il risultato di spostare ancora più a monte la selezione sociale)?
Saverio Valentini, Torino
Studiare meno, studiare tutto
Leggo con stupore (articolo di Luigi Berlinguer di domenica 8 luglio) che un uomo che è stato ministro della pubblica istruzione - e in particolare il promotore della più recente riforma che ha distrutto l'università italiana - si duole dello stato in cui versa la scuola. Come se fosse un passante deluso dalla qualità del servizio, invece che un attivo promotore del risultato che ora stigmatizza.
Leggo con inquietudine che ora rivolge le sue morbose attenzioni ai più piccoli. Leggo con aumentato stupore la sua lamentazione sui «corsi che partono dalle definizioni generali, dalle regole astratte», «senza motivare, rispondere a interrogativi propri e curiosità specifiche». Eppure Berlinguer assicura di «non voler revocare in dubbio la necessità dell'astrazione, della concettualizzazione». Vuole «solo» contestare l'impianto didattico deduttivistico che nega, ahinoi, la «necessaria contaminazione tra sapere e fare». Contaminazione per tutti, e chi se ne importa della profilassi.
Secondo il suo grido di dolore «nella scuola italiana manca l'arte, la sollecitazione delle pulsioni artistiche che sono in ognuno di noi; ad esempio «la musica praticata, la possibilità di imparare a suonare e cantare». L'obiettivo è «conciliare equità sociale e qualità»; ovvero «il diritto al successo educativo per tutti». Insomma: tutti vincitori alle Olimpiadi della conoscenza. Il prezzo da pagare è («non c'è altra via») «abbassare la qualità per la massa». Qui voleva arrivare: studiare meno, studiare tutto.
Noto che c'è comune sentire tra questo riformatore inesausto - a volte ritornano - e un gruppetto di studenti che ultimamente chiedeva di «studiare con lentezza», «facilitazione e alleggerimento» dei corsi, nonché di lasciare «il pensiero libero alla sua corrente». Vi chiedo: qualcuno di voi si farebbe costruire casa da un ingegnere che abbia nozioni generiche sulla statica e la resistenza dei materiali? Si farebbe curare da un medico che ha speso tanto tempo sul pentagramma quanto sulla fisiologia? Si affiderebbe a un chirurgo avvezzo alla contaminazione? Si farebbe illuminare da un filosofo che abbia evitato con cura i testi più «duri»?
Claudio Del Bello
Il manifesto mi stupisce
Leggendo l'articolo di Luigi Berlinguer sulla scuola «Senz'arte ma di parte», mi domando perché il manifesto, dopo aver discusso per mesi sull'opportunità di realizzare inchieste sul campo, alla fine pubblichi interventi ideologici, ben lontani dall'esperienza di chi dell'insegnamento ha fatto una professione e una scelta di vita.
Due sono i cardini dell'apocalittica descrizione della scuola fatta da Berlinguer.
Il primo, che nelle scuole italiane sarebbero bandite la musica, le arti, internet e la fantasia a causa dell'impostazione astratta e deduttivistica dell'insegnamento: poco meno che lager diretti da ottusi docenti kapo, responsabili di una strategia di esclusione sociale e culturale.
Il secondo, che per giunta tale tipo di insegnamento astratto risulterebbe comunque inadeguato a formare i tecnici e gli scienziati necessari al paese.
Ebbene, da insegnante di lettere da quindici anni, domando a Berlinguer se dell'esclusione di molta gioventù dalla formazione e dall'opportunità di progressione sociale sia causa l'insegnamento deduttivistico o non piuttosto il fatto che dei ragazzi, provenienti o no da situazioni familiari drammatiche, vengano parcheggiati per anni, fino al termine dell'obbligo, in classi di trenta alunni senza alcun progetto specifico. D'altra parte noi docenti constatiamo che il successo scolastico è spesso inversamente proporzionale al censo familiare: molti giovani, che godono di un notevole benessere materiale, appaiono individualisti e privi di interessi, di passioni o di comportamenti diversi da quelli dell'omologazione al branco.
Non sarà responsabile di ciò la rinuncia a educare con esempi e sanzioni, a proporre un modello di comportamento valido per la scuola e per la società?
Non saranno proprio quelle che Berlinguer chiama nozioni astratte, e noi invece cultura, lo strumento con cui formare il cittadino e i suoi valori? Può una società che si dice democratica e moderna, che dunque è viva solo se ogni cittadino è in grado di esercitare scelte consapevoli, permettersi il lusso che giovani di diciannove anni superino l'esame di maturità classica ignorando qualunque nozione di storia del Novecento e incapaci di svolgere un tema, cioè di esprimere opinioni personali motivate, sulla giustizia e il diritto o sulle istituzioni democratiche o sul colonialismo o sulla società del villaggio globale?
E, quanto allo sviluppo del pensiero scientifico, perché le facoltà universitarie hanno smesso di tener conto del diploma di maturità per l'iscrizione? Forse lamentano il fatto che i giovani non hanno esercitato la loro intelligenza emotiva con noi docenti o invece temono che gli studenti siano impreparati, cioè che manchino di quelle cognizioni e competenze astratte misurate dai difficilissimi test di selezione?
I problemi della scuola e dell'educazione sono certo assai complessi, ma ora è urgente non solo rivendicare il diritto allo studio come strumento di sviluppo della personalità propria, ma anche di rivalutare il dovere di istruirsi per rendersi utili agli altri. Invece il programma berlingueriano di banalizzazione dei contenuti per dare il diploma a tutti è demagogico e in fin dei conti complementare alla promozione della scuola privata della Moratti. Infatti la metamorfosi degli istituti in progettifici e dei docenti in burocrati della pedagogia è la più subdola forma di selezione classista: chi può contare su una famiglia abbiente o colta frequenterà con profitto i licei d'élite o le scuole private, gli altri riceveranno comunque un inutile diploma e l'istituto avrà raggiunto gli obiettivi e prevenuto la dispersione.
Ora, sebbene queste considerazioni siano ampiamente condivise tra i docenti, stupisce che non trovino luogo sul manifesto, il quale invece si fa acriticamente portavoce di luoghi comuni (come la malascuola) espressi da un ex-ministro costretto alle dimissioni da un ripudio generale degli insegnanti, molti dei quali lettori del quotidiano.
Cordiali saluti,
prof. Davide Mulas, Liceo classico statale Dettori di Cagliari
Dequalificati e diseguali
Luigi Berlinguer, nell'articolo di domenica, dice: «Alla scuola è stata assegnata una mera funzione di trasmissione della conoscenza»; un compito molto elevato.
Se già la scuola riuscisse a assolverlo con successo, si compirebbe un notevole progresso, peccato che sia intasata da progetti, attività extra-curricolari, didattica alternativa etc.
E' giusto, invece, evidenziare la mancanza nella scuola italiana di spazi per l'espressione artistica, e in particolare musicale, degli studenti. Aggiungere che in un paese ricchissimo di opere d'arte e che è stato la patria di grandissimi musicisti, quale è l'Italia, si dovrebbe studiare di più la Storia dell'arte e si dovrebbe introdurre lo studio della Storia della musica, al momento del tutto assente. Ma forse anche questo verrebbe condannato perché proprio di «un impianto educativo puramente gnoseologico».
Il disprezzo e l'aria di superiorità nei confronti del ruolo della scuola quale trasmettitore del patrimonio culturale da parte dei signori come Berlinguer, soprattutto nella sinistra, hanno contribuito non poco all'abbassamento di livello dell'istruzione pubblica in Italia.
Sorge, poi, spontaneo l'interrogativo circa quale sia concretamente la scuola predicata da Berlinguer, libera dalle lezioni frontali e dall'insegnamento deduttivistico e solo gnoseologico», privata forse anche delle «vecchie aule» e dei «banchi antichi». A tutti piacerebbe una scuola che «concili equità socio-culturale e qualità», ma i tentativi finora compiuti in questo senso non hanno fatto che abbassare la qualità, avviando un pericoloso processo demolitivo dell'istruzione pubblica.
Una scuola così dequalificata non appianerà le disuguaglianze, ma come in Gran bretagna e Stati uniti, le accentuerà, spingendo i figli delle famiglie più agiate in istituti privati e escludendo comunque gli altri dall'accesso al sapere, di qualunque genere e impostazione lo si voglia.
Elena Spangenberg Yanes, Roma
Berlinguer sul luogo del delitto
Che Luigi Berlinguer torni ogni tanto sul luogo del delitto è importante, dispiace constatare che l'ex ministro della pubblica istruzione finisca sempre per ricadere nei soliti vecchi errori.
Ancora una volta al lamento per la scuola italiana (inevitabilmente classista e forse è vero) si contrappone la solita semplificazione di idee e criteri educativi per cui oggi assisteremmo a uno scontro Gentile contro Bruner: se questo fosse veramente il livello della contrapposizione saremmo messi molto peggio di quanto non siamo. Non credo valga nemmeno per la Moratti, il che è tutto dire. Questo è il vero tallone d'Achille del riformismo di Berlinguer, ieri come oggi: l'astrazione, la genericità, il voler calare dall'alto paletti e dogmi che finiscono per finire nel dimenticatoio (per fortuna) molto presto. Ma fanno danno.
Il didattichese di Vertecchi, l'Invalsi, il pedagogismo prêt-à-porter di ispettori sgrammaticati sono calati come una mannaia sulle scuole italiane e sugli insegnanti esterrefatti. La lezione frontale è stata preferita a favore di didattiche umilianti, piene zeppe di semplificazioni, riassunti di riassunti, con l'odio panico nei confronti dei testi, di esercizi difficili, delle tanto aborrite concettualizzazioni che Berlinguer confonde ieri come oggi con le categorie astratte del bell'e fatto, di corsi di poche ore con questionari a risposta multipla.
Con la stessa leggerezza e superficialità si sono selezionati gli insegnanti con i corsi abilitanti a 30 ore, con le famigerate aree d'ambito culturale, per cui a un maestro elementare, bocciato nei concorsi di abilitazione, viene consentito l'accesso alle scuole superiori per insegnare materie che in università non ha mai studiato e che non conosce, con la vergogna universalmente riconosciuta delle Siss, scuole-bidone (tra l'altro assai costose) per consentire qualche margine di lucro alle università in disarmo.
La scuola abbandonata e impoverita nei contenuti e nella vita materiale (a iniziare dagli stipendi ridicoli) poi si vendica: i raccapriccianti video su You tube descrivono la scuola reale che emerge dalle nebbie delle circolari ministeriali, da oltre dieci anni di riforme fallimentari (peggio di quella di Gentile, già criticata da Gramsci nella direzione opposta a quella berlingueriana), dalla situazione di abbandono che aleggia negli istituti italiani.
La scuola di oggi, e Berlinguer ne porta non poche responsabilità, è finita con il risultare superficiale, poco impegnativa, noiosa e nozionistica; è appesantita da una quantità di operazioni burocratiche e dall'orribile didattichese di funzionari cresciuti e pasciuti lontani dalla scuola, che si sono dati d'attorno con furia riformista e hanno devastato. Oggi abbiamo nella migliore delle ipotesi poche valide esperienze di resistenza, nel marasma di un corpo docente indebolito, diviso e spesso impreparato, gravato da un consistente impoverimento materiale, morale e intellettuale. La scuola diventa un'area di parcheggio per giovani e adulti, un dopolavoro a stipendio fisso per arrivare alla fatidica terza settimana, per il resto si arrangi chi può. E tutti si arrangiano, chi può come può.
In questo clima nasce un generale atteggiamento di sfiducia e di profondo scetticismo e indifferenza per le riforme dall'alto dei Berlinguer di turno. Al deduttivismo tanto deprecato, che Berlinguer chissà perché imputa al solo idealismo gentiliano, si oppone un deduttivismo opposto e speculare, quello del cognitivismo made in Usa degli anni '70. E' il destino provinciale di chi segue le (superate) mode di turno: Berlinguer o chi per lui se ne dovrebbe liberare una volta per tutte. Diffidiamo delle riforme universali e, visto che ci siamo, modestamente proponiamo un empirismo umile ma più vicino alla pratica quotidiana.
Fioroni-Berlinguer si facciano un giro per gli istituti professionali italiani e investano risorse nelle scuole in maggiore difficoltà. Si selezioni e si paghi profumatamente personale docente in grado di fare lezione (in laboratorio o al cinema poco importa), in grado di recuperare disciplina, qualità, stima di sé e crescita personale nelle scuole in cui oggi si rischia ogni giorno l'incolumità fisica; si valutino le conoscenze matematiche, fisiche e scientifiche degli studenti, delle scuole, degli insegnanti, si promuovano le esperienze didattiche dignitose e s'impongano riforme e provvedimenti di recupero ai docenti che non riescono a garantire risultati soddisfacenti. Si evitino gli sprechi immensi dei progetti, progettini e progettoni in cui si finanzia il nulla quando non l'ideologia dell'ennesima giornata alla memoria. Soprattutto si evitino le parole d'ordine dall'alto, le riforme fatte su principi astratti e idealistici calati su una realtà che si ignora. Le riforme devono avere testa e gambe, tutte ben centrate nel mondo reale, nella realtà che si vuole conoscere, cambiare e possibilmente migliorare.
Il metodo tanto perseguito a parole del trial and error dovrebbe essere applicato in primo luogo dallo stesso Berlinguer, a partire dai suoi errori passati. Altrimenti è la solita ideologia riformista della ex-sinistra italiana.
Francesco Armezzani, insegnante