Manifesto: La scuola modello è indebitata fin sopra il collo
Nei quartieri difficili di Napoli istituti come la «San Domenico Savio» sono fondamentali per combattere degrado sociale e camorra. Ma le politiche governative li stanno mettendo in condizione di non offrire più ai ragazzi quello che chiedono. E li soffocano con spese assurde, come la tassa sull’immondizia
Nei quartieri difficili di Napoli istituti come la «San Domenico Savio» sono fondamentali per combattere degrado sociale e camorra. Ma le politiche governative li stanno mettendo in condizione di non offrire più ai ragazzi quello che chiedono. E li soffocano con spese assurde, come la tassa sull’immondizia)
Francesca Pilla
Napoli
La San Domenico Savio è una
delle migliori sedi scolastiche
di Secondigliano, il quartiere
alla periferia nord diNapoli
a poca distanza dalle Vele, i palazzoni-
dormitorio di edilizia popolare
post-terremoto dove sono finiti
tutti gli indigenti, i disoccupati, i senza
tetto metropolitani; oggi ancora
indiscusso regno della camorra. Secondigliano
e Scampìa: le banlieues
dove, nell'inverno del 2004, la faida
tra i Di Lauro e gli «scissionisti» per
l'accaparramento delle piazze di
spaccio ha provocato oltre 50 morti
ammazzati, e dove lo scorso 21 marzo
si è ucciso ancora.
«Forse in Italia credono che siamo
tutti delinquenti – spiega una madre
– ma questa è una delle più belle
scuole di Napoli. Mia figlia conosce
pure il latino». Questo perché gli insegnanti,
supplenti o di ruolo, che accettano
di lavorare da queste parti si
impegnano umanamente oltre che
professionalmente, ci mettono sensibilità
e cura, promuovono lo spirito
di condivisione dei saperi, sostengono
di tasca propria attività laboratoriali,
comprendono che i bambini devono
essere tenuti lontano dalla strada,
devono imparare amando. Per
questo all'entrata dell'istituto campeggia
il logo della scuola, dipinto a
mano da alunni e maestri: «Doceo diligens
diligo docens, disco augens
augeo discens» (insegno amando
amo insegnando, cresco imparando
imparo crescendo). E' in latino, fortemente
voluto nell'istituto, insegnato
a costo di sacrifici prima con i quindicisti
– gli insegnanti che avevano
solo 15 ore settimanali, ora spariti
con il post-Moratti – e adesso inserito
nel bilinguismo. I ragazzini, infatti,
non devono credere che il loro futuro
sia proseguire gli studi solo in
istituti tecnici oppure finire direttamente
nel mondo del lavoro a fare il
garzone di un salumiere, il pizzaiolo,
il meccanico subito dopo le medie.
Alla Savio – un istituto comprensivo,
tre classi di materna, cinque di elementari
e 25 di medie per un totale
di circa 700 alunni – i bambini sono
istruiti tutti per accedere ai licei «borghesi
»: poi è chiaro che sceglieranno
da soli, compatibilmente con le esigenze
familiari.
Il Comune pignora se stesso
Nell'ufficio del preside Paolo Vascello,
la foto di San Domenico Savio sostituisce
il crocifisso. Si tratta dell'unico
santo bambino, morto a 15
anni, beatificato e, dopo la trafila, impresso
nei santini che regalano in
chiesa. «Non so come sia potuto diventare
santo a quell'età», sorride il
preside, ma poi si trattiene dall'esprimere
ulteriori commenti. Mentre
parla si gusta una grossa fetta di torta
caprese, cioccolata e nocciole, portata
fresca fresca dagli alunni, che
quasi in pellegrinaggio arrivano con
letterine, dolciumi di tutti i generi e
lavoretti costruiti per Pasqua. «Qui
siamo indebitati per 50mila euro
con il comune di Napoli» – dice, improvvisamente
serio. «E’ la cifra dell'accumulo
di tasse dei rifiuti non
versate. Con la privatizzazione dei
servizi di riscossione, attualmente in
mano alla società Gest Line, se volessero
saldare i conti potrebbero prelevare
quel poco che abbiamo in banca
o venir qui a pignorare i nostri beni.
E sarebbe il paradosso dei paradossi:
il comune che si rivale di una
scuola comunale».
Alla Savio non hanno mai navigato
nell'oro. Il teatro, la biblioteca, i laboratori
di ceramica, di informatica,
di infomusica, di educazione alimentare,
la sala proiezioni li han messi
su a suon di volontarismo, risparmi
e lotterie. Quest'ultima voce si riferisce
agli innumerevoli progetti scolastici
presentati, chili di carta con finalità,
rendiconti e preventivi per recuperare
fondi e che oggi hanno sigle
curiose come Por e Pon (Programmi
operativi regionali e nazionali per
l'utilizzo dei Fondi strutturali europei).
«Ci arrangiamo come possiamo
– conferma Paola Caravelli, professoressa
di lettere – se non ci fossimo autogestiti
e industriati a presentare
progetti, a restare in classe oltre l'orario
lavorativo, le attività laboratoriali
non sarebbero mai partite». Esperimenti
pedagogici fondamentali in
questa parte di città, dove per i ragazzini
studiare è troppo spesso considerato
una perdita di tempo.
«Ora, però, con l'autonomia scolastica
è tutto diverso – spiega ancora Vascello
– noi siamo dei manager, abbiamo
dei fondi dimezzati e dobbiamo
fare quadrare i conti. Non abbiamo
più il coordinamento dell'ufficio
scolastico regionale e questo se da
un lato limita gli sprechi dall'altro ci
penalizza. Abbiamo tre rimesse quadrimestrali,
alla fine dell'anno i soldi
o li hai o non li hai».Ma se si sono limitati
i passaggi di mano, lo stesso
non è accaduto con la nascita di situazioni
a dir poco ambigue.
Por, Pon e presidi-manager
E' avvenuto, per esempio, che per i
Por e i Pon sia arrivata una voce di bilancio
dedicata all'importo da versare
al preside per il suo impegno nel
portare avanti quel dato progetto, in
altre parole viene considerato un manager.
«Personalmente non ho mai
accettato una lira – mette le mani
avanti – li ho versati direttamente all'istituto.
Qui tutti lo possono testimoniare,
ma funziona così: è il modello
scuola-azienda». Che Paolo Vascello
non abbia mai preso per sé è
credibile, è un preside della vecchia
guardia, a giugno andrà in pensione
e gli insegnanti già lo rimpiangono.
Ha, infatti, sempre sostenuto il valore
del lavoro, pagato i supplenti a piè
di lista, vale a dire alla fine del mese,
non ha mai sprecato i fondi a disposizione
e nonostante l'autonomia finanziaria
ha predisposto tutto affinché
i precari abbiano quanto loro
spetta. Ma da settembre chi lo sostituirà
potrebbe anche non pagare.
Certo il supplente avrà il diritto di rivolgersi
al tribunale e ottenere quanto
gli spetta, ma con quanti mesi di
ritardo? Perché sono questi due i
punti dolenti della riforma finanziaria
iniziata con Moratti e proseguita
con Fioroni: l'accumulo dei debiti e
il rimborso dei precari.
Al momento i bambini della Savio
non sembrano allarmati. Non ne
hanno la più pallida idea. Con le insegnanti
cucinano nel laboratorio di
educazione alimentare, colorano e
infornano la creta, cantano e suonano
nelle ore di musica d'insieme. Urlano
e chiacchierano tra loro mentre
va in onda un documentario dedicato
proprio al loro quartiere, giocano
nel cortile dove è in costruzione un
altro plesso per la materna, una battaglia
iniziata nel 2003. Un braccio
di ferro con il comune per ottenere
nuovi spazi e concentrare tutte le
classi in un unico complesso. Ultimomatch
a novembre, per mancanza
di soldi i lavori si sono bloccati
nuovamente e sono ripartiti solo a fine
marzo.
Nella mensa i più piccoli iniziano il
pranzo, le pareti sono tappezzate di
piatti con le più svariate pietanze.
Anche questo è il frutto dei lavoretti
pomeridiani. «Tra poco potrebbe
non essere più così – conferma Francesco
Amodio dei Cobas scuola –
questa scuola è l'unica della zona ad
aver mantenuto i tre giorni di tempo
continuato, nonostante la riforma
Moratti. Ora con Fioroni potrebbe
andare tutto in fumo. Se non ci sono
soldi non ci sono attività supplementari
».
Tra i banchi fai-da-te
Eppure Amodio è stato uno degli insegnanti
che hanno fatto collette, ha
costruito da solo i banchi per il laboratorio
di informatica, ha giocato insieme
ai bambini componendo uno
splendido murale in ceramica che
spicca nel corridoio principale della
Savio. Ma con i fondi dimezzati è
chiaro che per quanto i professori
possano metter mano alle proprie tasche
e dar fondo alla voglia di costruire
una scuola diversa, non possono
autofinanziare metà delle attività.
E come se non bastasse in questo
gioiello di istituto, punto di riferimento
di un intero quartiere, anche
la biblioteca è a rischio. In due trance,
tra il giugno 2007 e il 2008, gli insegnanti
attualmente inseriti con
l'articolo 35, 4.700 a livello nazionale
– che cioè non sono di ruolo non potendo
insegnare per gravi motivi di
salute – saranno messi in mobilità
oppure destinati all'amministrazione.
La bibliotecaria della Savio è la
professoressa Anna Idolo, ha subito
un intervento alle corde vocali, ma è
rimasta attivissima. Negli anni è riuscita
a rifornire gli scaffali con i più
svariati titoli, favole, romanzi, opere,
poesie. «Mi piange il cuore – dice –
non hanno la possibilità di fare sostituzioni,
ho messo l'anima in questi
scaffali. Eppure potrei continuare
qui, sono ancora giovane, oltre a curare
la biblioteca potrei occuparmi
dei rapporti con l'esterno, della dispersione
scolastica, dei progetti per
trovare fondi». Dall'anno prossimo
sarà messa alla porta e alla scuola
non resterà altro da fare che chiudere
l'esperienza: assumere una bibliotecaria
è fuori discussione.
Altro cruccio della professoressa,
non essere rientrati nei progetti
«Scuole Aperte», un'iniziativa regionale
che stanzia fondi alle scuole a rischio
permantenere gli istituti aperti
il pomeriggio con l'aiuto di associazioni
e cooperative. «Cioè quello che
serve nel quartiere» – rileva Amodio.
«Erano 30 le scuole aventi diritto, la
Savio e un altro istituto di Secondigliano
sono arrivate in classifica al
31 e 32esimo posto». Il preside scuote
la testa: «Una gestione del concorso
veramente poco chiara, hanno lasciato
fuori proprio questa periferia
».
(2 - continua)