Manifesto: La scuola DEI G2
In un istituto elementare della periferia romana un gruppo di genitori «italiani doc» vogliono ritirare i figli perché «ci sono troppi immigrati». Che in realtà sono bimbi nati in Italia e perfettamente integrati. Ma la questione vera riguarda il «bagaglio culturale e religioso»
Eleonora Martini
ROMA
Quella che alcuni genitori "italiani doc" hanno bollato come «terribile aborto di scuola-ghetto», per la presenza di oltre l'80% di alunni figli di immigrati, ha anche ricevuto un premio Gold-Indire, riconoscimento che l'Agenzia nazionale per lo sviluppo dell'Autonomia scolastica dà alle migliori pratiche della scuola italiana. Il giorno in cui il premio (ricevuto proprio per lo screening dei livelli maturativi) verrà reso pubblico, il prossimo 30 marzo, sarà per l'istituto Carlo Pisacane di Roma (scuola pubblica elementare) un giorno di festa. Non per tutti, però. Sicuramente non per il neo costituitosi "Comitato mamme per l'integrazione", assurto agli onori della cronaca da qualche settimana per aver scritto una lettera alla ministra dell'Istruzione Mariastella Gelmini nella quale chiedevano di stabilire quote massime di presenza dei bambini stranieri in ciascuna classe per tutelare il corretto apprendimento dei propri figli e anche, spiegano, per una «reale integrazione degli immigrati».
Una richiesta che potrebbe sembrare perfino ragionevole se non si conosce una realtà come quella di Tor Pignattara, il quartiere della prima periferia romana che ospita la scuola Pisacane, dove ormai cresce la seconda e anche la terza generazione di immigrati (o la prima e la seconda di nuovi italiani, da un altro punto di vista), e se non ci si emancipa dallo schema "immigrati (e figli di immigrati) uguale stranieri". In queste strade tanto care a Pasolini, che negli anni '50 pullulavano di "clandestini" abruzzesi, pugliesi e calabresi, oggi sono immigrati buona parte dei proprietari di case e di negozi. Lo sono i farmacisti e perfino i medici, come nell'America dell'ultimo Clint Eastwood. I bambini e gli adolescenti che riempiono le sale gioco e scorazzano nei parchi, però, sono italiani. Con la sfortuna di essere nati e cresciuti in un paese dove la cittadinanza non è legata allo ius soli ma al "diritto di sangue". Parlano italiano, almeno quanto i loro coetanei, anche se il "Comitato mamme per l'integrazione" (rappresentante, dicono, 25 famiglie) prevede che il prossimo anno, quando «nella scuola Pisacane i bambini italiani saranno appena uno su dieci, la lingua di Dante sarà ignorata dai più». Preoccupazione senza alcun fondamento, secondo la direttrice Nunzia Marciano: «Abbiamo avuto bambini di seconda generazione che hanno vinto premi letterari, anche perché spesso sono i più seguiti dalle famiglie che vedono nella scuola una grande opportunità per i loro figli». Nel plesso di via dell'Acqua Bulliccante della scuola Pisacane (quello additato come la pietra dello scandalo) quest'anno saranno 144 i bambini G2 (seconda generazione) sui 169 iscritti. «Ma l'anno scorso - spiega Marciano - su 384 iscrizioni in tutto il quarto circolo didattico, solo 13 non parlavano italiano correntemente». Da questo punto di vista, risultano datate anche le circolari dei precedenti ministri dell'Istruzione che invitano a ripartire le classi «evitando la predominanza degli stranieri»: dovrebbero essere attualizzate parlando di bambini non "italianofoni". Mentre la ministra Gelmini ha già cavalcato l'onda di fango sollevata dal succitato Comitato, per annunciare un tetto del 30% in ciascun istituto.
Ma la vera preoccupazione del "Comitato" è il «bagaglio culturale, sociale e religioso frammentato all'inverosimile». «I nostri figli - scrivono - hanno diritto ad avere amichetti con cui giocare anche al di fuori dell'orario canonico, mentre le comunità di stranieri presenti nel nostro istituto sono chiuse e non si lasciano frequentare». E poi «hanno diritto ad andare in gita scolastica», ma gli immigrati spesso non hanno disponibilità economiche. E certo in pochi vedrebbero di buon occhio un aiuto mirato da parte della comunità o dello stesso istituto. E, dulcis in fundo, «i nostri figli hanno diritto a fare e a vedere un presepe con il bambino Gesù, la Madonnina e San Giuseppe, mentre il "Villaggio globale" organizzato lo scorso anno aveva moschee, minareti e donne in burka mischiati ai pastori e ai Re Magi».
A rispondere alle "mamme per l'integrazione" ci hanno pensato gli altri genitori della Pisacane. Con due lettere, una del Consiglio di Circolo e un'altra firmata da 14 famiglie, non solo italiane doc. Per loro, che spiegano di aver appreso dai giornali dell'esistenza dell'accreditato Comitato, si tratta di «un atto vigliacco operato da chi vuole usare i bambini per fini diversi da quelli nobili dell'integrazione e della cultura». I «nostri figli - spiegano - vanno a scuola sereni e incontrano i compagni italiani, bengalesi, romeni, polacchi, colombiani o egiziani, alle feste, o in palestra o al cinema. La Pisacane non è un eden ed i problemi tra chi non parla la stessa lingua ci sono e non si possono negare, ma non si deve trasferire nella scuola il conflitto tra adulti che ha origine nelle difficoltà del quartiere».
Dunque l'inquietudine c'è, ma il "problema" ha origini lontane. Il 5 febbraio scorso si sono addirittura messi attorno a un tavolo ad hoc gli amministratori del VI municipio, i direttori scolastici regionale e provinciale, l'assessore An Laura Marsilio e la direzione didattica. Lo scopo era pianificare una migliore distribuzione degli alunni nelle scuole del territorio, spesso concentrati negli istituti che offrono maggiori servizi come quello pre e post scolastico. Non è certo solo una questione di etnie. Gli impegni sono stati presi, i fondi stanziati (almeno sulla carta), la Pisacane ha iscritto "con riserva" gli alunni non residenti in zona, sia italiani che stranieri. Ma non basta: le "mamme italiane" vogliono di più, come lo vuole l'assessore Marsilio, la ministra Gelmini, la Lega e l'anima più buia del Pdl: una seconda e anche una terza generazione marchiata a vita come "immigrati".