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Manifesto: «La parola ai lavoratori»

Il rischio è quello di piattaforme diverse in tutti i luoghi di lavoro: «Il paese non ne aveva davvero bisogno». Intervista a Guglielmo Epifani

25/01/2009
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il manifesto

«La parola ai lavoratori»
Il rischio è quello di piattaforme diverse in tutti i luoghi di lavoro: «Il paese non ne aveva davvero bisogno». Intervista a Guglielmo Epifani
Alessandra Fava
GENOVA
La parola ora torni ai lavoratori. Sfodera le armi il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Attacca Confindustria e chiarisce come la principale controparte che rappresenta il mondo delle imprese abbia negato ogni margine di trattativa sul famigerato patto targato Confindustria-Brunetta fino al no clamoroso (ma il conflitto era previsto) della Cgil. Su Cisl e Uil che hanno firmato, Epifani glissa. Chiamare i lavoratori a pronunciarsi, basta e avanza. Per il resto, dei sindacati confederali non spende una parola. Epifani ieri era a Palazzo Ducale per il trentennale dalla morte di Guido Rossa, il sindacalista dell'Italsider, ucciso dalle Br il 24 gennaio del 1979 sotto casa per aver denunciato un collega che volantinava per le Br (i diretti interessati dissero che volevano gambizzarlo). Ma Epifani dal passato remoto passa al presente e al futuro. Parla di Rossa come «un eroe civile, un eroe del lavoro del nostro paese». Sulle minacce in aula a Ichino dice che «c'è ancora da fare per sradicare la violenza definitivamente, innanzitutto nella coscienza malata di coloro che hanno fatto quegli interventi e per difendere quelli che si sentono minacciati». Ma poi non esita a togliersi i sassi dalle scarpe e rispolverare i perché e le sensazioni dell'incontro mancato di giovedì scorso sera. Quei sassi che ha tenuto dentro di sé in questo giorno e mezzo dal no al patto. Un patto che ricordiamo diventa effettivo per il settore pubblico come per quello privato, senza contrattazione sugli aumenti e con un indice di recupero dell'inflazione che s'adegua a un coefficiente europeo ed esclude i beni energetici, che «influiscono sino al 20 per cento sull'indice dell'inflazione», azzarda un sindacalista della Fiom genovese, anche se dalla staff di Epifani precisano che «la valutazione è prematura e può cambiare da categoria a categoria».
Segretario, ci può spiegare le ragioni del no della Cgil?
Avevo chiesto di non precipitare adesso l'intesa perché non avrebbe avuto l'accordo della Cgil. Nella divisione del mondo del lavoro c'era il rischio di determinare condizioni difficili, tanto più in una crisi che mette in discussioni posti di lavoro; una crisi che mette tanti precari per strada senza nessuna forma di tutela e apre inquietudini e incertezze in tutto il paese. Qui c'è una responsabilità del governo che ha giocato pesantemente a dividere le organizzazioni del lavoro e far precipitare la situazione, quando non c'era alcun motivo. Hanno cercato una soluzione che si sapeva non avrebbe trovato il consenso della Cgil».
Di chi sono le responsabilità della cesura?
C'è anche una responsabilità di Confindustria. È inutile che oggi la presidente Marcegaglia faccia inviti alla Cgil a ritornare. La Cgil aveva dichiarato fino a un minuto prima le proprie disponibilità a ritoccare quelle parti della proposta che avrebbero consentito di chiudere diversamente quella vicenda. Confindustria lo sa, non ha voluto. E non ha voluto perché non poteva. E questo mi fa dire che c'è una responsabilità di Confindustria in questa divisione. E devo anche dire che lo scenario che io paventavo e non volevo, ci sarà: perché in tutti i luoghi di lavoro, nei contratti, è evidente che si potrebbe andare a piattaforme diverse creando soprattutto per le imprese problemi di difficilissima soluzione. E da questo punto di vista, di tutto avrebbe avuto bisogno il paese, l'impresa e il lavoro - in un momento come questo - tranne che di un elemento di divisione. Ci voleva un soprassalto di responsabilità per dire, teniamo da parte i problemi che ancora ci dividono per raggiungere un'intesa condivisa. Ma non si è voluto fare questo. È un errore molto pesante, soprattutto nei confronti del lavoratori e delle imprese. Questa è la mia opinione e questa è l'opinione della Cgil».
Si andrà al referendum tra i lavoratori?
Questa è una delle condizioni e per la Cgil è risolutiva. Quando ci fu l'accordo del 1993 votarono i lavoratori. Perché qui non stiamo parlando di un singolo atto, stiamo parlando dell'architrave, della costituzione delle relazioni sindacali. Se tu fai una costituzione non devi escludere nessuno. Quando tu fai una costituzione devi coinvolgere i lavoratori. Per la Cgil è così. Chiederemo a Cisl e Uil di definire le modalità attraverso cui i lavoratori possano liberamente esprimersi.
Pochi giorni fa l'ennesima morte sul lavoro nel porto di La Spezia. Come si può rispondere a questa emergenza quotidiana?
La novità è che non c'è novità: continua questa tragedia. L'ultimo morto è avvenuto nei porti. Continuo a pensare che si stia abbassando la guardia. La discussione sul decreto della sicurezza del lavoro avviene in un contesto nel quale il numero dei morti continua ad essere rilevante. La crisi che può imporre una disattenzione su questo tema, ma non si può abbassare la guardia. Trent'anni fa Guido Rossa in una lettera raccontava dello scandalo di questo paese in testa alle classifiche europee per le morti sul lavoro e purtroppo ancora oggi non si riesce a cambiare.


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