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Manifesto: La legge Gelmini, ultima tappa verso l'asfissia

UNIVERSITA'

23/05/2010
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il manifesto

Stefano Lucarelli
Il Disegno di legge 105 (note in materia di università, di personale accademico e reclutamento) attualmente in discussione alla Camera, è l'ultima tappa di un processo decisionale finalizzato a far morire per asfissia l'università pubblica. Le mobilitazioni svariate e multiformi che in questa settimana vedono protagonisti diversi soggetti, che non sempre sono portatori di uno stesso insieme di interessi, non possono essere tacciate di mero corporativismo. Vanno invece sorrette e partecipate anche nelle divergenze che emergono. Qui ad essere in gioco non è la carriera più o meno dignitosa alla quale aspira un ricercatore, né il grado di baronia degli accademici, e nemmeno la legittima uscita dalla precarietà rivendicata dagli assegnisti di ricerca, dai giovani professori a contratto e dalle figure più deboli che arrancano nei nostri Atenei. Ciò che è in gioco è né più né meno l'università pubblica. Un'università che, dopo essere stata educata al "libertinaggio", incentivata a moltiplicare le sue sedi e la sua offerta formativa nel nome del mercato del sapere, è stata sottoposta ad un vero e proprio stupro degno del Marchese de Sade. Penetrata dai processi di taylorizzazione dei saperi imposti dal sistema dei crediti formativi, stravolta da un insieme di dispositivi volti a regolare i comportamenti dei suoi studenti e dei suoi docenti per annichilire l'autonomia della formazione, l'università subisce l'ennesima riforma del proprio sistema di governo, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Il fondo di finanziamento ordinario si riduce, come l'ossigeno.
Nel tentativo di ricomporre i soggetti in grado di lottare contro questi scempi, vale la pena leggere la nota Gelmini insieme alla così detta riforma Brunetta sulla pubblica amministrazione: ciò che emerge è una struttura in cui un Consiglio di amministrazione (11 persone di cui almeno 2 designati tra consiglieri esterni) regola i rapporti fra un direttore generale, dal quale dipende un personale tecnico amministrativo, sempre più minacciato da sistemi di valutazione volti a frammentare gli interessi di questi lavoratori mal pagati e sovra responsabilizzati, e un rettore, eletto tra i soli professori ordinari in servizio presso le università italiane. I rapporti gerarchici vengono rafforzati e ai loro vertici inferiori sono ben visibili le minacce della precarietà: sul versante tecnico amministrativo le cooperative di servizi alle quali (la legge non lo prevede direttamente, ma la storia dei nostri atenei lo conferma) sono esternalizzate un numero crescente di funzioni; sul versante della docenza appaiono i precari di oggi, i ricercatori a tempo determinato di domani disegnati a tavolino per essere protagonisti di una guerra tra poveri (tra loro e con gli attuali ricercatori, che divengono figure ad esaurimento).
Siamo di fronte ad un sadismo politico che si sostanzia in uno svuotamento dei processi democratici ancora vigenti negli organi d'Ateneo; in una crescente frammentazione tra i lavoratori dell'università; in un rafforzamento dell'incentivo a creare due gruppi di interesse fortemente contrapposti divisi verticalmente (la testa formata da Cda, Rettore, Dg e quei dipendenti che la struttura incentivi/ sanzioni su cui la valutazione interna verrà costruita premierà contro la massa informe in cui tutti gli altri sono costretti a sopravvivere). A partecipare al soffocamento di questo corpo martoriato, ma ancora i grado di ribellarsi, vengono chiamati i rappresentanti dei poteri economici locali. Ai Rettori di fatto viene chiesto di trovare finanziamenti esterni in cambio dell'autonomia della ricerca. La deriva aziendalistica e gerarchica, la privatizzazione e la precarizzazione della ricerca ottenute attraverso la frammentazione di chi nell'università lavora, a mezzo di una campagna stampa contro fannulloni e baroni (spesso sostenuta dagli interventi di chi dalle prime pagine aspira ad una propria baronia non limitata al mondo universitario) va combattuta con consapevolezza. Perdere questa battaglia significa fare un ulteriore passo verso una società fondata sul controllo violento della scienza e della conoscenza; una società che sceglie politicamente non solo di annichilire la critica dei saperi, ma anche di mortificare i saperi stessi martoriando la ricerca di base e la cultura tout court.
* Università di Bergamo


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