Manifesto-La Consulta fa scuola
La Consulta fa scuola La sentenza della Corte attacca la riforma Moratti. "Sugli insegnanti decidono le regioni" SARA MENAFRA Un buco che rischia di risucchiare non solo il contestatissimo prim...
La Consulta fa scuola
La sentenza della Corte attacca la riforma Moratti. "Sugli insegnanti decidono le regioni"
SARA MENAFRA
Un buco che rischia di risucchiare non solo il contestatissimo primo decreto attuativo della riforma Moratti, ma buona parte delle norme sulla scuola per come le conosciamo adesso. E' quello aperto dalla sentenza della Corte costituzionale dello scorso 13 gennaio che si è pronunciata su un ricorso presentato dalla regione Emilia Romagna. La decisione riguarda un comma della legge finanziaria del 2002 (comma 3 articolo 22 della legge 448 del 2001). Ma la Corte ha colto l'occasione per entrare nel merito dell'applicazione pratica delle autonomie regionali, sancito dal nuovo titolo quinto della Costituzione, alla scuola. L'effetto è devastante. "Il riparto imposto dall'art.117 - dice la Corte - postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare i principi. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche [...] tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato". In sostanza devono essere le regioni a gestire l'organico degli insegnanti, così come tutti gli aspetti "organizzativi" della scuola.
Lo schiaffo è prima di tutto per il decreto legislativo di riordinamento del primo ciclo della scuola dell'obbligo attualmente in discussione. Stando alla sentenza appena uscita, il testo è incostituzionale, dato che entra nel merito dell'organizzazione del personale stabilendo che esiste un insegnante "prevalente" o tutor, e decide che il "tempo scuola" è di ventisette ore più dieci di mensa a settimana. Ma applicandolo stesso principio, pure la scuola dell'era pre-Moratti rischierebbe di fare la stessa fine.
Mariangela Bastico, assessore alla scuola emiliano romagnola, se ne rende perfettamente conto. Ed infatti è molto cauta. "La Corte si è spinta ben oltre le nostre aspettative - dice - ora bisogna procedere con molta cautela a partire dal ritiro immediato del decreto e dall'apertura di un tavolo tra lo stato e le regioni che decida il da farsi". La stessa indicazione, per la verità, che dà anche la Corte costituzionale. Data la portata della sentenza infatti, i membri della Corte hanno stabilito che il comma della discordia rimanga in vigore "fino a quando le singole regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere la funzione di distribuire gli insegnati tra le istituzioni scolastiche nel proprio ambito territoriale".
La sentenza non basta a bloccare il funzionamento della scuola dall'oggi al domani. Ma per evitare che tutte le normative sulla scuola siano automaticamente impugnate e dichiarate illegittime serve una nuova normativa in tempi brevi. "Siamo contrari alla regionalizzazione della scuola" prosegue la Bastico: "Il tempo pieno gratuito per tutti deve entrare a far parte a pieno titolo dei diritti sanciti dalla legislazione nazionale. Le trattative tra stato e regioni devono partire da questo principio". Secondo l'assessore emiliano la strada maestra per arginare i rischi di una regionalizzazione della scuola sarebbe quello di stabilire che il budget assegnato ad ogni regione è calcolato sul numero degli alunni presenti, con qualche ponderazione: "Se il budget è unico ogni regione avrà la possibilità di garantire gli stessi diritti ad insegnanti ed alunni", conclude. La sentenza della Corte ha allarmato anche parlamentari e sindacati degli insegnanti. "E' una sentenza che richiama tutti i decisori politici a una nuova assunzione di responsabilità - dice Dario Missaglia, segretario della federazione formazione e ricerca della Cgil - Ma se diventa terreno di conflitto a tutto campo, il rischio è la paralisi del sistema stesso o la pura conservazione dell'esistente". Decisamente più preoccupato Piero Bernocchi dei Cobas: "Il rischio - spiega - è che ci siano venti riforme Moratti, una per ogni regione d'Italia".