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Manifesto-L'università Nettuno ai privati

PUNTO L'università Nettuno ai privati FIORELLO CORTIANA ORIANA PERSICO L'era digitale consente una gigantesca diffusione della conoscenza, come bene comune socialmente e culturalmente codifica...

11/04/2005
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il manifesto

PUNTO
L'università Nettuno ai privati
FIORELLO CORTIANA
ORIANA PERSICO
L'era digitale consente una gigantesca diffusione della conoscenza, come bene comune socialmente e culturalmente codificato dall'umanità: abbiamo il dovere di trasmettere intatto questo bene alle generazioni future. Qualsiasi logica o tentativo di rendere privato tale commons è da considerarsi come un crimine ai danni delle attuali generazioni e di quelle future, che non ne potrebbero godere, al pari della brevettazione del codice genetico e degli alfabeti. Le battaglie in corso sulla brevettabilità del software nel parlamento europeo danno un'idea precisa del terreno su cui andremo a misurarci nei prossimi anni, dove i paradigmi che si confrontano fanno essenzialmente riferimento ad una società che tende ad "aprire" e "condividere "o a "chiudere": la conoscenza è il punto nevralgico di questo confronto. "... La nostra missione di disseminazione della conoscenza è incompleta se l'informazione non è resa largamente e prontamente disponibile alla società. Occorre sostenere nuove possibilità di disseminazione della conoscenza, non solo con le modalità tradizionali ma anche e sempre di più attraverso il paradigma dell'accesso aperto via Internet... Per mettere in pratica la visione di un'istanza globale ed accessibile del sapere, il Web del futuro dovrà essere sostenibile, interattivo e trasparente. I contenuti ed i mezzi di fruizione dovranno essere compatibili e ad accesso aperto." (Accesso aperto alla letteratura Scientifica, Dichiarazione di Berlino, 2003).

Questa dichiarazione a sostegno dell'Open Access Initiative, sottoscritta da numerosi atenei nel mondo e in Europa coglie con intensità sia l'opportunità della diffusione della conoscenza nell'era di Internet, sia la necessità di costruire tale diffusione su un paradigma "aperto". Nelle università come altrove c'è aria di fermento sulle spinose questioni della proprietà intellettuale, fino alla sua ultima evoluzione nella versione copyright. Le ragioni dei rettori e dei bibliotecari (rispettivamente i produttori ed i custodi del sapere per eccellenza) e con loro del popolo dell'Open Source (un riferimento dovuto va alla Free Software Foundation e al recente debutto a Torino dell'iniziativa Creative Commons Italia) sono abbastanza semplici da comprendere se si pensa che la comunità scientifica vive attraverso l'aggiornamento costante, che tale aggiornamento è legato alla consultazione delle riviste, che "una rivista come il Brain Research costa 21 000 dollari l'anno e che in Italia, per poter fotocopiare un articolo (entro il 15% del fascicolo) si deve pagare il copyrigt per delle royalties che gli autori non hanno mai percepito, dopo che si è pagato un abbonamento dai costi che aumentano di anno in anno" (prof. Vincenzo Milanesi, Pres. Commissione biblioteche della CRUI).

Si delinea uno scenario paradossale dove le università, cedendo i diritti agli editori, perdono la possibilità di poter riprodurre i propri lavori, di riutilizzarli o rielaborali per scopi didattici e di ricerca, mentre le pubblicazioni tradizionali diventano una barriera all'accesso e alla circolazione dell'informazione scientifica. Si pensi per esempio al recente avvio del progetto Nettuno, un consorzio universitario promosso e finanziato dal MIUR (Ministero per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca), che è ad oggi la prima università telematica a distanza sperimentata in Europa (per tutte le informazioni www.uninettuno.it ). Un'occasione a dir poco straordinaria per la diffusione e la democratizzazione del sapere, all'interno come all'esterno della comunità scientifica. Purtroppo la logica (e la miopia) del Consorzio non si discosta di molto da quella dei monopoli dell'editoria: i diritti di vendita e distribuzione esclusivi delle videoregistrazioni dei corsi universitari sono stati ceduti alla casa editrice Pitagora. Ci domandiamo chi sia il legittimo proprietario di queste cassette, se il MIUR, i docenti, il Consorzio Nettuno, la casa editrice Pitagora (che di fatto le possiede), gli studenti o ancora la comunità tutta. È chiaro d'altronde chi, le videoregistrazioni, le ha pagate: l'università telematica a distanza è parte del servizio pubblico d'istruzione nazionale.


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