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Manifesto: L'esercito di precari su cui campano gli atenei

Con i tagli «formazione già ridotta»

22/11/2009
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il manifesto

Sara Farolfi

Corsi ridotti, docenti a contratto tagliati e post dottorati eliminati: «La situazione è drammatica e Gelmini non c'entra ancora nulla», dice Federico, docente a contratto da ben 9 anni a Bologna. Prima di Gelmini viene Tremonti, e anche nell'ateneo di Bologna, come in tutto lo stivale, i tagli della legge 133 iniziano a materializzarsi. Su questo impatterà il ddl Gelmini, ventiquattro paginette in cui per ben diciassette volte si ribadisce che non dovrà esserci «nessun onere aggiuntivo per il bilancio dello stato».
Anche a Bologna sperano di riuscire ad aprire un tavolo con il nuovo rettore. Al Politecnico di Torino - dove una circolare di fine settembre ha messo nero su bianco il taglio del 40% dell'offerta formativa - ci sono riusciti. Il 15 ottobre, ricercatori precari, studenti e personale tecnico e amministrativo hanno bloccato il senato accademico. Il 16 ottobre, un comunicato congiunto di rettore, ricercatori precari e Flc Cgil ha dato avvio a un tavolo di confronto sui «ricercatori non strutturati del Politecnico». Una conquista, racconta Valentina, «anche se il difficile arriva adesso».
Mobilitazioni e proteste hanno preso corpo, nelle ultime settimane, in diversi atenei. A Catania hanno protestato i precari delle commissioni di laurea, ed è stato annunciato il blocco degli esami: «La didattica dentro l'università non è una seconda scelta, ma una professione». Le università invece campano sulle spalle di circa «40 mila persone che, a titolo più o meno gratuito, tengono in piedi la didattica», osserva Andrea Capocci introducendo l'assemblea alla Sapienza. Un po' all'ingrosso: 40 mila docenti a contratto, 15-20 mila gli assegnisti, più le migliaia di borsisti, e tutte quelle forme contrattuali fuori controllo. Tra tagli, blocco del turn over, e «razionalizzazioni», gli atenei rischiano il collasso. «Perchè facciamo fatica a considerarci lavoratori, perchè non riusciamo ad avere piena consapevolezza dei nostri diritti?», domanda Ilaria, precaria dell'università di Firenze, «eppure noi tutti siamo persone licenziate più volte nel giro di un anno...».
Sia chiaro: nessuna delle 500 persone circa (per la metà ricercatori precari) ieri presenti era lì per difendere lo status quo. «Nessuno vuole difendere questa università, ma noi ce la immaginiamo in un altro modo», dice Claudio Franchi (Flc Cgil). «Ma se l'università fa schifo, lo schifo lo hanno fatto loro», sbotta Enrico, ricercatore precario a Cosenza, «ora dobbiamo rifare tutto noi».
Gelmini e Moratti, non a caso negli interventi i nomi si confondono, «la lotta va avanti da anni». In ballo c'è tutto il ciclo della formazione, a partire dalla scuola. Lo ricorda Francesco, del coordinamento precari della scuola di Roma (per un mese in presidio sotto la sede del ministero) che richiama alla necessità di «un percorso di movimento» che per lo sciopero dell'11 dicembre porti «ad assediare il ministero», capace poi di andare oltre e arrivare, l'autunno prossimo, al blocco della didattica, se necessario.
Diritto allo studio, merito, precarietà, trasparenza: l'assemblea decostruisce la semantica dominante. È falso che il ddl Gelmini metta fine alle logiche baronali: «I bandi e le chiamate locali restano eccome», dice Francesca, ricercatrice e coordinatrice Flc di Bologna. Il diritto allo studio si materializzerà nel «prestito d'onore», cioè ci si dovrà indebitare, in tempi in cui il modello americano consiglierebbe se non altro più cautela. Si potranno trascorrere fino a dieci anni da precario, senza alcuna garanzia sul futuro. Infine, l'ingresso dei privati nei cda delle università. Non una novità, ricorda Davide di Padova: «Nel ricco nord est le aziende già si relazionano in maniera parassitaria all'università...e l'introduzione di stage e tirocini obbligatori, dice quale sia l'obiettivo». Da domani però i privati entreranno nei cda di ateneo. Quali privati? «A Napoli ci sono i Casalesi». Contro l'individualismo dei rapporti, studenti e ricercatori precari rivendicano collettività e cooperazione. Tutti sottolineano: non può esserci qualità senza risorse, nè può esserci merito senza welfare. Su queste parole l'Onda tornerà a farsi sentire.


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