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Manifesto: L'apartheid in classe

Provoca una bufera la mozione leghista che propone classi separate per studenti immigrati e rom. Che dovranno imparare «tolleranza e lealtà», l'italiano e le «tradizioni territoriali e regionali». Insorge tutta la sinistra insieme al mondo della scuola

16/10/2008
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il manifesto

Eleonora Martini
ROMA
Studiare l'italiano, certo, ma non solo. Nelle classi ghetto per ragazzi immigrati e rom che la Lega vorrebbe introdurre nelle scuole del Paese, i "fortunati" studenti - a differenza dei loro coetanei, anche se dialettofoni, inseriti in classi normali - potranno apprendere anche il «rispetto di tradizioni territoriali e regionali», «il rispetto per la diversità morale e la cultura religiosa del paese accogliente», «l'interdipendenza mondiale», il «sostegno alla vita democratica», e la «comprensione dei diritti e dei doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente)». La contestatissima mozione approvata a maggioranza martedì sera dalla Camera, il cui primo firmatario è il presidente dei deputati del Carroccio Roberto Cota, impegna il governo a creare corridoi separati di accesso degli alunni stranieri (anche «nomadi», come vengono definiti nella premessa rom e sinti) alla scuola di ogni ordine e grado. «Classi in inserimento» etniche, dunque, «propedeutiche all'ingresso nelle classi permanenti», calibrate per chi è indietro con la lingua italiana ma anche per chi è culturalmente duro di comprendonio nell'«educazione alla legalità e alla cittadinanza». Che evidentemente passa per la conoscenza degli usi e costumi «territoriali e regionali». Insomma, per tutti quegli aspiranti scolari che - propone la mozione - non abbiano superato un «test di ammissione e specifiche prove di valutazione» iniziali. In ogni caso «la distribuzione di ragazzi stranieri» - italianofoni o non, e che abbiano superato l'esame o meno - deve essere «proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe».
Il provvedimento è stato accolto con un coro di proteste, dentro e fuori il Parlamento, e in molti lo hanno definito un vergognoso, incivile, intollerabile «atto di razzismo», e un «tentativo di ritornare alla segregazione etnica». «Nessun razzismo, è un provvedimento per favorire la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri» dove «non c'è più posto per gli italiani», è la toppa - peggiore del buco - imbastita da Lega e Pdl che parlano di «becera strumentalizzazione» dell'opposizione. Il cui leader Walter Veltroni leva le braccia al cielo: «Dio ci scampi dalle classi separate finora si è trattato di una mozione, ma se dovesse essere trasformata in una proposta di legge, noi faremo tutto il possibile in Parlamento per impedirne l'approvazione». Da Rifondazione invece Paolo Ferrero chiede senza mezzi termini le dimissioni della ministra Gelmini, mentre i deputati europei di entrambi i partiti, Pd e Prc, accusano le «classi ponte» di fare il paio con i «provvedimenti razzisti degli ultimi mesi, alimentando il clima xenofobo ampiamente diffuso ormai in Italia». Anche il fronte della maggioranza risulta meno compatto di quello che sembra: un no risentito viene dalla deputata di origine marocchina Souad Sbai e perfino il sindaco di Roma Gianni Alemanno invita a «una pausa di riflessione».
Ma, ancora una volta, è dal mondo della scuola che sale la condanna più netta. «E allora perché non tornare anche alle classi separate per bambini con handicap psichici?», provocano alcune insegnanti della scuola "Franco Cesana", nel centro storico di Roma, dove gli alunni immigrati sono davvero pochi. «Il bambino straniero, come pure il portatore di handicap, è sempre un arricchimento per tutti - spiega meglio la vicedirettrice Maria D'Angelo - e a parte il fatto che l'apprendimento di una lingua e di una cultura avviene, come tutti sanno, maggiormente con il gioco e con la relazione interpersonale, bisogna aggiungere che c'è uno scambio tra chi sta imparando l'italiano e chi si confronta con una lingua straniera, come l'inglese». Più in periferia, nel popolare quartiere romano di Torpignattara, la direttrice Nunzia Marciano della Pisacane, scuola che conta l'80% di bambini di origine straniera, va più nel dettaglio: «Una proposta che sarebbe condivisibile se le classi di inserimento fossero aperte, di passaggio rapido, con una permanenza di non più di qualche mese e solo per qualche ora al giorno».
«La cosa più grave è che si vogliano insegnare le tradizioni locali e si pensi a classi differenziate per la "comprensione dei diritti e dei doveri"», è il giudizio del pedagogista e saggista Alberto Alberti, ex ispettore tecnico del ministero della Pubblica istruzione con 50 anni di carriera scolastica alle spalle. «Non è pensabile che in una società dove si bruciano miliardi con le borse si taglino fondi alla cultura. Per risolvere le difficoltà della scuola occorrono metodi, insegnanti, competenze, strutture, tempo e sostegno sociale», aggiunge Alberti. Che conclude: «Taglio dei fondi, riduzione delle competenze, espulsione di studenti difficili. Oggi sono bambini stranieri o ragazzi con problemi relazionali, domani saranno alunni dialettofoni, socialmente svantaggiati o handicappati. Introducendo elementi di divisione non si fa scuola per i cittadini di domani, si allevano piccoli arrivisti, come diceva Don Milani».


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