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Manifesto: Istruzione pubblica tra licenziamenti e rottamazione

Paolo Fasce

01/09/2009
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il manifesto

L'ultima legge finanziaria del governo Prodi/Padoa Schioppa/Fioroni - non senza battaglie significative dei precari italiani e resistenze del predecessore di Tremonti - aveva stabilito un piano triennale che, assumendo 50.000 persone per ciascuno dei tre anni successivi, avrebbe consentito un piano di rientro dal precariato di almeno metà degli iscritti alle «Graduatorie ad esaurimento». La percentuale è ben più significativa se si considerano le persone «stabili nel precariato» (coloro i quali ottengono un contratto dal primo settembre al 30 giugno da diversi anni). La seconda tranche, che probabilmente Fioroni e Padoa Schioppa avrebbero potuto firmare prima di lasciare tutto nelle mani del Pdl, fu dimezzata ed è per questo che i precari protestarono il 23 luglio 2008 formando un primo coordinamento tra i tre tronconi - spesso litigiosi - del precariato scolastico: gli «idonei» ai vecchi concorsi del 1999 e del 1990, gli «abilitati» tramite le Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario e i «promossi» sul campo coi corsi abilitanti. Considerato il fatto che nell'anno corrente le assunzioni hanno riguardato solo 8000 insegnanti, mancano all'appello, rispetto al piano triennale precedente, ben 67.000 assunzioni.
Se gli insegnanti piangono, gli Ata (impiegati di segreterie e collaboratori scolastici, cioè i bidelli) di certo non ridono: le stabilizzazioni su questo fronte sono ancora minori. Occorre ricordare che circa il 17% - più di uno su sei - degli insegnanti è precario, mentre negli uffici e nei corridoi delle scuole si raggiungono punte del 50%.
Mentre i precari lamentavano le assunzioni disattese, il governo convertiva il decreto-legge 25/6/2008 n.112 nella Legge 6/8/2008 n. 133. Al Capo II (Contenimento della spesa per il pubblico impiego), nell'art. 64 (Disposizioni in materia di organizzazione scolastica), la famigerata legge 133 procedeva a tagli per complessivi otto miliardi di euro, raggiunti sostanzialmente nel seguente modo: meno ore a scuola (alla scuola primaria si spinse per la «famiglia del mulino bianco», che pranza a casa e non abbisogna del doposcuola, fallendo miseramente nelle indicazioni dei genitori; nella secondaria si ridussero le ore); meno compresenze (il modello della «maestra unica» non ha motivazioni pedagogiche); aumento del numero di alunni per classe.
Nelle prossime settimane l'ultimo punto verrà percepito anche dai genitori, mentre in questi giorni sono i tagli degli insegnanti e degli Ata a farsi sentire. I comitati locali dei precari, riuniti nel «Coordinamento precari scuola», hanno manifestato anche quest'estate Montecitorio, il 15 luglio. Persone che da anni erano «stabilizzate nel precariato», in questi giorni (alle chiamate di fine agosto) si sono trovate sulla strada. L'età media di assunzione di un precario è superiore ai quarant'anni; ne consegue che le 18.000 persone rimaste a casa quest'anno (sarebbero più del doppio se i pensionamenti non avessero attutito parzialmente il problema) sono in massima parte padri e madri di famiglia, non di rado monoreddito, spesso entrambi precari (della scuola).
I tagli maggiori sono concentrati nel Sud, dove i risultati dei test Ocse Pisa e le più recenti rilevazioni Invalsi mettono in evidenza semmai la necessità di investimenti significativi. Ma il problema di una didattica all'altezza dei tempi, nell'ambito di una classe di più di 30 alunni, si faranno sentire anche a Verona o a Cuneo.


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