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Manifesto: ISTAT «I dati sono credibili solo se è indipendente»

ISTAT Cgil e ricercatori contestano l'esecutivo

23/07/2009
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il manifesto

Francesco Piccioni
Un governo «sfascista» si vede da certi dettagli. L'attacco di Tremonti e Scajola alla credibilità dell'Istat ha le stigmate dell'insofferenza per la scienza e i suoi verdetti, sempre spiacevoli quando non confermano quel che ci piace.
Nella sede centrale della Cgil, nella discussione su «Le mani sull'Istat», il senso di questo attacco diventa palese: avere un istituto che dia numeri «graditi», sull'economia e l'Italia in genere. Vedremo domani chi sarà stato scelto dal governo come nuovo presidente, ma sono mesi che l'Istat viene depotenziato e «minato nella credibilità» in molti modi. Con il sostanziale blocco di finanziamenti e assunzioni, mentre aumentano le inchieste «obbligate» in virtù delle convenzioni europee; con gli sketch tv derisori del presunto modo di condurre le rilevazioni (descritti come «sondaggi»); con il «sasso in bocca» sinistramente sibilato dal ministro Scajola nei confronti dell'istituto; con il folle tentativo - infine - di contrapporre ai dati statistici (rilevati ed elaborati dall'Istat) quelli amministrativi (prodotti dal quotidiano funzionamento della macchina statale).
Una mano l'ha data indirettamente il presidente uscente, Luigi Biggeri, il quale - vedendosi negare dal governo l'ennesima proroga dei contratti a tempo determinato per i rilevatori della rete (ne parliamo qui sotto) - ha deciso di affidare la rilevazione a una società privata a partire dal prossimo 15 ottobre. Una minaccia diretta all'imparzialità dei dati raccolti, hanno spiegato tutti gli intervenuti, perché l'informazione statistica - «bene/servizio pubblico fondamentale per ogni decisione collettiva o individuale» - «può e deve essere garantita solo da un soggetto pubblico, credibile, indipendente».
Si tratta infatti di dare dati «certificati», con elevato grado di affidabilità, elaborati secondo criteri decisi e periodicamente ridiscussi dalla comunità scientifica (in questo caso a livello europeo). La credibilità è indispensabile, perché quei dati dovrebbero costituire «la base condivisa del confronto democratico». Se non esiste, chi detiene le leve dell'amministrazione centrale (il governo) può dire quel che vuole, senza doversi confrontare con «l'oggettività».
L'accento posto spesso da alcuni ministri sul carattere «alternativo» dei dati amministrativi va in questo senso. Ma, spiegano diversi ricercatori (tra cui Bruno Contini, ex consigliere Istat), «l'Inps, per esempio, riceve come informazione il salario annuo di un dipendente, mentre Eurostat lavora sul salario mensile, settimanale o perfino orario; conta le giornate lavorative, su cui l'Inps non ha alcun controllo»). Infatti l'istituto, da decenni, ha sviluppato una serie di tecniche per «filtrare» e leggere i dati amministrativi, altrimenti inutilizzabili a fini statistici.
L'attendibilità parte dal momento stesso della rilevazione. Tutti riconoscono il deciso miglioramento della qualità dei dati sulle «forze di lavoro» raccolti da quando l'Istat ha istituito la «rete» che oggi è in pericolo: giovani specializzati, formati e monitorati in ogni istante dai supervisori, mentre prima la rilevazione era affidata ai vigili urbani (l'«annonaria» lo fa ancora per i prezzi al consumo, con risultati non a caso sempre contestati dalle associazioni dei consumatori).
Che la contestazione venga dal ministro dell'economia, commenta il ricercatore Fabio Rapiti, è invece un «passaggio epocale». Così come la richiesta di pubblicazione solo trimestrale, «che è l'esatto contrario - spiega Fabrizio Stocchi, delegato interno della Cgil - di quanto chiedono gli operatori economici, ovvero la tempestività». Specie in tempi di crisi, aggiunge l'economista Tito Boeri, «le statistiche sono un bene pubblico fondamentale per orientare e ridurre l'incertezza». L'esempio viene proprio dal monitoraggio dell'occupazione - «dato centrale per comprendere l'evoluzione della crisi e fare scelte politiche appropriate» - che l'Eurostat dà mese per mese e l'Italia solo ogni tre.
Resta aperto un problema: l'Istat è un'istituzione pubblica internazionalmente considerata di alto livello, che è giusto «difendere» dalla demolizione intenzionale ad opera del governo (che evidentemente preferirebbe assumere qualche «spin doctor» per addolcirne la produzione). Ma questo non significa pensare che possa essere immobilizzata nella sua configurazione attuale. C'è intanto un problema di statuto: gli organi di indirizzo sono nominati dall'esecutivo, mentre l'indipendenza e l'autorevolezza sarebbero meglio difese se le nomine fossero decise dal parlamento con maggioranza dei due terzi (avviene già per l'authority dell'energia). In secondo luogo, servono finanziamenti e assunzioni: le risorse sono congelate da anni, e negli ultimi sette anni i dipendenti diretti sono passati da 2.700 a 2.300.
Per aumentare «la fiducia della collettività verso le statistiche prodotte», infine, viene proposta la «costituzione di un organismo consultivo di utilizzatori delle statistiche», così come avviene in molti paesi europei. Proprio quel che questo governo non auspica, par di capire.


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