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Manifesto: ISTAT/1: 317 rilevatori atipici da 7 anni rischiano il posto

Sembra un paradosso. Eppure i dati sull'occupazione, pubblicati ieri dall'Istat, sono stati raccolti e stesi dai 317 rilevatori che, da quasi 7 anni, hanno contratti atipici (co.co.co. e co.co.pro.). E ora, rischiano di perdere il lavoro.

20/06/2009
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il manifesto

Giulia Torbidoni
I precari conducono l'indagine sulle forze lavoro. Sembra un paradosso. Eppure i dati sull'occupazione, pubblicati ieri dall'Istat, sono stati raccolti e stesi dai 317 rilevatori che, da quasi 7 anni, hanno contratti atipici (co.co.co. e co.co.pro.). E ora, rischiano di perdere il lavoro.
La rete di rilevatori è stata istituita nel 2002 (prima le ricerche venivano condotte dai comuni). Nel 2005 il ministero della funzione pubblica ha dichiarato illegittime le tipologie contrattuali (co.co.co.) di questi lavoratori, dicendo che l'istituto doveva provvedere a cambiarle. Da allora, però, i 317 rilevatori attendono una «soluzione definitiva» e vedono sopravvivere i loro contratti precari a forza di proroghe. Il decreto di dicembre scorso ne concedeva un'ultima fino al 30 giugno: un ultimatum affinché l'Istat trovasse una soluzione. Altrimenti, dopo tale data, i lavoratori da precari sarebbero diventati disoccupati.
Ieri, dopo il presidio davanti alla sede dell'Istat, una delegazione dei rilevatori è stata ricevuta dal ministero che non ha concesso una proroga, ma ha indicato all'Istat il procedimento normativo per allungare i contratti di altri 4 o 6 mesi. Lunedì il consiglio dell'Istituto deciderà cosa fare. Se decidesse di non allungare per altri 4 o 6 mesi i contratti, i rilevatori sarebbero disoccupati dal 1 luglio e le interviste passerebbero alla sola modalità telefonica. Se, invece, sfruttasse il prolungamento, alla fine dei 4 o 6 mesi potrebbe decidere tra l'assunzione definitiva dei rilevatori o l'esternalizzazione di tutto il lavoro.
Una delle ipotesi avanzate in questi anni per risolvere la questione è l'istituzione di una società a capitale pubblico con un amministratore unico che, però, l'istituto non riesce a trovare. Il problema, scrivono i lavoratori, è che l'Istat «scarta a priori ogni ipotesi di assunzione». La società, infatti, non potrebbe riproporre l'indigesta minestra dei contratti atipici. Se lo facesse, i lavoratori potrebbero aprire una vertenza legale, simile a quella che hanno avviato circa un anno fa per ottenere la stabilizzazione del posto di lavoro in quanto dipendenti a tutti gli effetti dell'istituto (pur se co.co.co. sulla carta), ma a quel punto la legge dovrebbe tenere conto di un precedente analogo: il caso di Atesia che ha dovuto regolarizzare i suoi precari.
I rilevatori sono figure altamente specializzate. Tramite le interviste raccolgono, confrontano ed elaborano i dati che ci mostrano la situazione dell'occupazione in Italia. Fino ad oggi le interviste si sono svolte in quattro tappe: la prima viene fatta di persona, faccia a faccia. In questo modo si può arrivare alle famiglie senza telefono o a quelle di immigrati. Le altre tre sono svolte per telefono, a meno che non si tratti di persone senza rete fissa o di immigrati: in quei casi il rilevatore che ha fatto la prima intervista torna a visitare la famiglia. La sola modalità telefonica elimina l'incontro e così si hanno «stime distorte - dicono i lavoratori - in più 7 anni fa si scartò la modalità telefonica». Si rischiano, di conseguenza, «ripercussioni sulla stima del Pil», di cui «l'indagine sulle forze lavoro rappresenta un asse importante», scrive l'economista Tito Boeri. Insomma, perdere le informazioni più nascoste è tralasciare le persone più precarie.


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