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Manifesto: Islam soft, ma separato

Milano pronta al via una scuola «araba» Privata, non confessionale, bilingue

01/09/2006
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il manifesto

Chiusa un anno fa la scuola «islamica» di via Quaranta, apre quella «araba» e «laica» di via Ventura
Manuela Cartosio
Milano
Si chiamerà «Insieme». E l'obiezione - tanto da destra che da sinistra - viene spontanea: se volete stare insieme perché vi separate? E' la scuola «araba» che il 15 settembre debutterà a Milano, in via Ventura. Mancano ancora i nulla osta del ministero dell'istruzione, dell'Asl e del Comune. Che dovrebbero arrivare, perché tutto è stato fatto «nel rispetto delle regole» previste per le scuole paritarie. Scuola elementare e media, 100 iscritti che saliranno a 150 alla prima campanella. Quasi tutti figli di genitori egiziani, quindi musulmani. «Ma sarà una scuola laica», dicono i promotori, non collegata a moschee o centri islamici. Solo due ore di religione, come nella scuola pubblica italiana. Se ci saranno iscritti non musulmani, si valuterà insieme cosa fare. Verosimilmente, non ci saranno. Quindi, saranno due ore di religione islamica. Non di predicazione fondamentalista, assicura l'associazione «Insieme».
L'assicurazione serve a fugare il sospetto che la scuola di via Ventura sia una continuazione di quella di via Quaranta, chiusa dal Comune l'anno scorso per ragioni igienico-ambientali e, soprattutto, perché «emanazione» di una moschea fondamentalista. Un filo di continità c'è e, nello stesso tempo, non c'è. Gran parte dei genitori che, associandosi, hanno messo in piedi la nuova scuola sono gli stessi che mandavano figli e figlie in via Quaranta. Mancano quelli dell'ala dura che, evidentemente, reputano una soluzione troppo blanda e compromissoria la scuola araba bilingue, non confessionale.
Anche noi, che guardiamo da fuori, siamo chiamati al compromesso quotidiano. Non ci piace la scuola «araba», ci inquieta che pur di insegnare un po' di italiano alle pachistane della Val Trompia si tengano corsi per sole donne e con insegnanti donne, ci lasciano basite le mediatrici culturali che tessono le lodi dei matrimoni combinati, cancelleremmo con un tratto di penna la Consulta islamica, mostruosità giuridica e politica. I nostri giusti niet ci confortano, ne facciamo alibi per la nostra superba inazione, piedistallo di un pessimismo cosmico. Leggiamo - tutto è già stato scritto nei paesi che hanno affrontato prima di noi le migrazioni di massa e l'incontro-scontro tra culture. Ne ricaviamo l'elenco di fallimenti, sia dell'astratto universalismo dei diritti (per il quale continuaiamo a militare, da vecchie rossandiane giacobine), sia di un multiculturalismo scaduto a giustapposizione di separatezze di cui le donne pagano il prezzo. Unica indicazione per uscire dal doppio scacco, la «negoziazione dinamica e permanente», ennesima «terza via». E' poco, non entusiasma (come tutte le cose improntate al buon senso), ma non c'è altro su piazza. Onde per cui, continua a non piacerci la scuola «araba», ma non ce la sentiamo di sputare su chi, per negoziare il meno peggio, si sporca le mani.
La scuola di via Ventura ha il patrocinio e, supponiamo, il sostegno economico del consolato egiziano che, l'anno scorso, aveva caldeggiato la chiusura di quella di via Quaranta. Il particolare tranquillizza il vicesindaco De Corato (An) che, comunque, mette le mani avanti: «Aspettiamo il nulla osta del ministero dell'istruzione, ispezioneremo i locali, poi valuteremo». Forza Italia parla di «autoghettizzazione». La Lega vigilerà perché non nasca «un'altra madrassa». L'opposizione di centro sinistra definisce la scuola «egiziana» un punto di mediazione accettabile tra «regole della scuola italiana e bisogno d'istruzione della comunità islamica».
Tace l'Ucoii, mentre altri componenti della Consulta islamica bocciano la scuola «araba». «Scuole private di questo tipo non aiutano l'integrazione», dice lo scrittore italo-iracheno Younis Tawfik, «se mandiamo i nostri figli in una scuola prevalentemente araba creeremo una generazione chiusa in un'identità protetta».


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