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Manifesto: Ipocriti e ispezioni contro gli istituti disobbedienti

Polemica contro le scuole che non hanno rispettato la circolare sui soldati uccisi. In Veneto partono gli ispettori a caccia di istituti «disobbedienti». La destra reclama sanzioni. I dirigenti: replicano: «Questione controversa, meglio discutere che stare zitti»

23/09/2009
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il manifesto

Daniela Preziosi ROMA
Per Pierferdinando Casini è tutta colpa dei «cattivi maestri». In Veneto, terra di ronde e di leghe, si sbraccia subito l'assessore - in realtà è un'assessora - in cerca di notorietà che avverte: la settimana prossima partiranno le ispezioni per scovare le scuole disobbedienti. E visto che è improbabile che vengano comminate sanzioni, gli studenti si beccheranno almeno il predicozzo della suddetta, la quale non può accettare «che si manchi di rispetto e non si onori chi, adempiendo al proprio dovere, ha perso la vita».
Si scatena la polemica e la caccia agli istituti che martedì non hanno rispettato il minuto di silenzio chiesto da una circolare della ministra Mariastella Gelmini sui sei militari italiani uccisi a Kabul. Non molti, tre noti a Roma, una decina forse in tutta Italia. Tanto basta a esaltare gli animi dei nostalgici del MinCulPop. E invece questi non sono pochi, persino confortati dall'apposito editoriale del Corriere della sera che ieri bacchettava la lettura «ideologica» dei presidi disobbedienti e invece propalava «gratitudine per i soldati, uccisi in una missione di pace che conducevano in nome e per conto di tutti noi»: come se quest'ultima non fosse una lettura ideologica della missione militare, dell'ideologia del governo in carica (ma in buona sostanza anche di quello precedente).
L'ex An Maurizio Gasparri chiede provvedimenti disciplinari contro i dirigenti, e dietro lui si accoda il fior fiore dell'ex destra sociale romana ormai intruppata begli scranni del parlamento. Il deputato Marco Marsilio (fratello gemello dell'assessora alle politiche educative del Campidoglio, Laura) si scagliai contro «certi dirigenti sovversivi» che «in gioventù a buon bisogno avranno marciato sotto le bandiere rosse della Cina di Mao o Breznev e forse oggi ancora sventolano la bandiera di Cuba con più piacere». Quella di Marsilio è solo una declinazione un po' più hard delle parole che la settimana scorsa ha detto la ministra dell'istruzione Mariastella Gelmini al Corriere della sera, «se un insegnante vuole far politica deve uscire dalla scuola e farsi eleggere». Nessun conforto ai «sovversivi» neanche dal Pd. Ieri il senatore Antonio Rusconi ha spiegato che non c'è giustificazione per chi ha deciso di non fare il minuto di silenzio, visto che «quei ragazzi hanno perso la vita mentre erano in missione in difesa della pace e della democrazia». Pari pare ai suoi colleghi della maggioranza.
Gli unici a pensarla diversamente, e a dirlo, sono stati Claudio Fava, di Sinistra e libertà, «insegnare a distinguere tra dolore e retorica è solo il dovuto esercizio della verità», e il verde Paolo Cento, «il rispetto per i nostri soldati caduti non può significare l'oblio né l'omissione di un dibattito politico non più rinviabile sull'opportunità della presenza italiana in quel paese». La circolare peraltro chiedeva agli insegnanti di aprire in aula, dopo il silenzio, una «riflessione solidale» sui fatti di Kabul. E qui l'affare si complica, perché da noi come in tutto il mondo la guerra in Afghanistan è questione controversa, e l'insegnamento è ancora libero per dettato costituzionale. E può legittimamente succedere che un docente sia più solidale con un soldato che fa la guerra, un altro più con i civili che la guerra la subiscono, e altri ancora abbiano convinzioni intermedie rispetto a queste due opposte.


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