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Manifesto: «Io speriamo che me la cavo» per studenti e docenti

per gli atenei italiani formazione fa sempre più rima con autopromozione

05/09/2007
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il manifesto

Massimo Arcangeli *
Che sgomitino per acquisire visibilità o conservare intatto l'appeal tanto faticosamente raggiunto, tentino di accaparrarsi la «materia prima» studentesca in una lotta senza esclusione di colpi, amplino a dismisura il ventaglio dell'offerta formativa, il risultato non cambia: per gli atenei italiani formazione fa sempre più rima con autopromozione.
Alimentata dalla carenza di moneta sonante (dati i magri bilanci che offre attualmente il convento), la smania propagandistica che arma in molti casi la mano di rettori e direttori amministrativi non è sfuggita ai più: tra questi, fortunatamente, il ministro Mussi. Il quale ha mangiato la foglia due volte: la prima nel dicembre dello scorso anno, quando si è pronunciato contro la distribuzione a pioggia di lauree ad honorem (bloccando sei mesi dopo il conferimento del titolo a Jonella Ligresti, figlia del Salvatore imprenditore, per «assenza dei requisiti di legge»), la seconda nei giorni passati, sollecitando l'intervento della magistratura dopo un'inchiesta del tg1 sulle lauree facili; che è come dire, per il nostro sgangherato sistema universitario, passare dalla padella del j'accuse contro le patologie ossessivo-compulsive dell'honoris causa alla brace della concreta possibilità di un'indagine giudiziaria che porti alla chiusura dei presunti «esamifici».
Per il primo punto valgano, più che le cifre - più di 260 titoli accademici «onorifici» assegnati nel 2006, 100 nei primi sei mesi del 2007 -, due casi emblematici. Nel maggio del 2005 lo Iulm di Milano (che proclamerà l'anno dopo Giovanni Rana, testimonial di se stesso nelle pubblicità della sua azienda alimentare, dottore in Relazioni pubbliche) e la «Carlo Bo» di Urbino assegnano la laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione a Vasco Rossi e in Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni a Valentino Rossi: alla rockstar modenese perché (parola del rettore Puglisi) avrebbe «saputo attraversare l'universo della comunicazione, nel corso dei suoi lunghi anni di attività, separando con intuitiva intelligenza la sua vita di uomo di provincia, carico di virtù e di vizi, di debolezze e di orgogli, di timori e di aggressività, di manipolazioni e di successi strepitosi, dalla sua vita artistica, di uomo della comunicazione a tutto tondo, di modello di espressione e di modo di essere»; a The doctor perché, pur avendo difettato nella «comunicazione» con l'Agenzia delle entrate, avrebbe dimostrato «straordinarie capacità comunicative» e, in aggiunta al «fenomenale talento sportivo», doti di simpatia e di creatività e «una capacità innata di imporre la sua personalità e la sua immagine» (risultata tale anche nell'autodiscolpa, scandalosa per l'assenza di contraddittorio, recentemente mandata in onda dalla tv pubblica). Propongo di assegnare il titolo anche a un Fabrizio Corona, fino a ieri al fresco e ora fresco di stampa: il più adatto per lui, probabilmente, «Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo» (lo stesso di cui l'università di Teramo ha fregiato nel 2004 il cantante Ligabue).
Per il secondo punto valgano sia le cifre sia gli esempi, già abbondantemente risaputi in seguito a un articolo di Repubblica, che sono stati forniti dal Comitato di valutazione del sistema universitario nazionale (Cnvsu) per il 2005: più del 57 per cento degli studenti che hanno conseguito quell'anno il titolo di laurea di primo livello in anticipo rispetto alla scadenza naturale (il triennio) è risultato iscritto a due soli atenei, il 78 per cento a appena cinque. L'ateneo telematico «Guglielmo Marconi» ha sfornato ben 99 su 100 baby-laureati, la Lum «J. Monnet» della pugliese Casamassima il 69,3 per cento, l'università di Chieti e Pescara il 54,87 per cento e, l'anno precedente, ancora di più (il 56 per cento); niente male - non saranno tutti geni ma certo sono bravi - nemmeno per l'università della Tuscia (29 per cento) e per quella della Valle d'Aosta (8 precoci su 21 regolari).
La vedo dura, «promuovifici» a parte, se si proseguirà sulla strada della somministrazione di test a crocette per cerebrolesi, degli esami orali a cui si viene ammessi senza dimostrare di possedere nemmeno i requisiti minimi per sostenerli, dell'adozione di bibliografia spicciola furbescamente commercializzata dagli editori, delle tesine triennali (e, talvolta, magistrali) senza arte né parte.
E noi docenti? In attesa di un «Io speriamo che me la cavo» che coinvolga anche noi (la cosa è ormai imminente), se continuiamo a calarci le braghe stiamo freschi. Mi preoccupano soprattutto, chiamamole così, le nuove leve. E se davvero Mussi, come ha promesso di fare, intende davvero intervenire anche nella delicata materia dei meccanismi di concorso per l'accesso alla carriera universitaria, non possiamo che rallegrarcene. Il ministro, in un'intervista, ha dichiarato: «I sistemi concorsuali sono una specie di 'kamasutra', sono stati negli anni inventati tutti i modi possibili per entrare nelle università». Basterebbe allora invertire la tendenza. Dai tanti modi per entrare e pochi modi per uscire ai pochi modi per entrare e tanti modi per uscire.
Chissà che, con l'inchiesta avviata sulle lauree facili dalla Procura di Roma, i modi per entrare non recuperino in parte il terreno perduto. I modi, s'intende, per entrare in una bella prigione.
* professore straordinario
di Linguistica italiana univ. di Cagliari


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