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Manifesto-Infanzia;Gli eretici di Reggio Emilia

INFANZIA Gli eretici di Reggio Emilia STEFANIA GIORGI Nel 1992 il settimanale americano Newsweek fece un'inchiesta sulla scuole primarie e stabilì che erano a Reggio Emilia le "migliori scuole d...

25/02/2004
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il manifesto

INFANZIA
Gli eretici di Reggio Emilia
STEFANIA GIORGI
Nel 1992 il settimanale americano Newsweek fece un'inchiesta sulla scuole primarie e stabilì che erano a Reggio Emilia le "migliori scuole del mondo", le più belle dal punto di vista dei bambini. Due anni dopo anche l'allora presidente Clinton si interessò a quel "modello emiliano". Così l'Italia, via America, si accorse, con colpevolissimo ritardo, di un suo "caso esemplare", di un gioiello del made in Italy non legato al lusso, ai motori di rosse fiammanti ma alla pedagogia, all'amore e al rispetto per l'infanzia. La storia degli "asili di Reggio Emilia" è una vicenda che viene da lontano, dai giorni successivi alla Liberazione. Parla di impegno, di fantasia, di rigore di tante donne e di tanti uomini. Di soggettività coniugata alla solidarietà, al "fare insieme" intorno a un progetto comune. Di sensibilità e cura per raggiungere obiettivi di alto livello, come meritano i bambini. Dell'impegno originario a costruire una scuola "diversa" per i propri figli, e della caparbia fermezza nel mantenere aperti gli spazi conquistati persino con la registrazione del marchio "Reggio Children" contro contraffazioni o approprazioni indebite di quell'esperienza.

"Grazie" a Newsweek l'Italia si accorse anche di Loris Malaguzzi, famoso all'estero dove veniva (viene) considerato un grande della pedagogia alla stregua di Piaget, e quasi sconosciuto in patria. Il "maestro di Reggio Emilia" che era stato insignito nel 1990 dai danesi della Lego, la casa dei celebri mattoncini, di una sorta di Nobel per l'infanzia; un riconoscimento che, in precedenza, era andato solo ad altri due italiani, Bruno Munari e Mario Lodi.

Un pedagogo niente affatto accademico che aveva saputo fare della creatività e della fantasia la sua filosofia e pratica di vita. Il "metodo Malaguzzi", infatti, è un non-metodo: non fa teoria ma punta semplicemente all'ascolto dei bambini. Entrando in sintonia con i loro bisogni e desideri, stimolandone la capacità di analisi e osservazione, la manualità, il gioco, la capacità di tessere relazioni tra coetanei e con il mondo degli adulti.

Costruire "una scuola amabile, dove stiano bene bambini, insegnanti e famiglie" è stato l'impegno di Malaguzzi, fino alla morte, nel 1994. Non stupisce che la filosofia delle scuole di Reggio Emilia, condensate in queste parole, abbia avuto vasta risonanza fuori e una vergognosa invisibilità in patria.

Oggi riandare a quelle parole, a quell'esperienza assume un'importanza ancora più grande. Parlare di una scuola "pubblica" che funziona risuona come un'eresia in un paese - il nostro - dove il management viene applicato alle pappine e alla didattica per i più piccoli e la destra che governa sistematicamente e vandalicamente smantella o svuota di significato, che poi fa lo stesso, un patrimonio comune civile e pedagogico. Un'eresia fantastica, meravigliosa, da preservare come un bene raro, prezioso, proprio mentre una "riforma", sulla pelle di bambine e bambini, sta ipotecando il loro futuro. Niente tempo pieno e maestri "prevalenti", bambini nel tempo vuoto: così il progetto della manager Moratti. Bambini che sconteranno la parcellizzazione del tempo pieno sminuzzato in un coriandolo di ore che non corrisponderà più ad alcun disegno organico. Tempo da riempire, da inzeppare, bambini parcheggiati e genitori sempre più in affanno.

Loris Malaguzzi diffidava della retorica: "dobbiamo strappare il bambino dalle mani dei poeti", non si stancava di ripetere. Noi oggi dovremmo aggiungere: anche dalle grinfie di un ministero unto di mercato.


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