Manifesto: Indisponibili e insostituibili, il movimento è risorto
C'è una generazione che si ribella
Roberto Ciccarelli
Trecentomila studenti, genitori, precari, docenti e ricercatori hanno riconquistato il futuro riempiendo novanta piazze in tutta Italia contro i tagli alla scuola e all'università. Ieri hanno assediato il ministero dell'istruzione e dell'università (Miur) a Roma, hanno sfilato a Torino, Milano, Bologna, Bari e Palermo, hanno scioperato nelle scuole (il 5,5 per cento dei docenti per il Miur, il 20 per Unicobas, ancora di più per la Flc-Cgil). Insieme hanno ripreso il filo dell'opposizione alla dismissione della scuola pubblica e alla dequalificazione irreversibile dell'università e della ricerca italiana.
Questo è il movimento degli indisponibili e degli insostituibili che la prossima settimana tornerà in piazza almeno tre volte (il 14 a Montecitorio quando si discuterà il ddl Gelmini sull'università, il 15 con i Cobas della scuola, il 16 con la Fiom). Sono indisponibili i ricercatori che rifiutano di lavorare gratuitamente nelle università, i docenti che non vogliono insegnare in classi con 35 studenti, gli studenti destinati a una vita di stage gratuiti. Sono tutti insostituibili perché pesano sul futuro di una società che invece li condanna al precariato. Pretendono diritti sociali fondamentali, desiderano il mondo e tutto quello che esso contiene, ma gli viene risposto «la gente non mangia cultura» (il ministro Tremonti nel consiglio dei ministri di giovedì), «difendono lo status quo» (il ministro Gelmini che ha aggiunto: «non sono manifestazioni spontanee, ma politiche»).
Stanco, ripetitivo, tragicamente in malafede, il governo rimette sul grammofono lo stesso disco rotto da due anni. Il taglio orizzontale di 8,5 miliardi di euro alla scuola, il licenziamento solo quest'anno di 40 mila docenti precari e personale Ata, insieme al taglio di 1,3 miliardi di euro al fondo di finanziamento delle università è un «cambiamento», ma non certo nella direzione virtuosa, meritocratica e innovativa alla quale il governo allude senza più convincere nessuno. «Politico», invece, questo movimento lo è davvero perché denuncia le scelte economiche con le quali il governo Berlusconi sta affossando tutte le istituzioni pubbliche della cultura e della formazione.
I trecentomila che hanno ripopolato le strade sono un'iniezione di realtà nelle vene di un paese impegnato nella distruzione delle sue ricchezze. Hanno rianimato il Pd che chiede «risorse umane e finanziarie per l'innovazione didattica», spinto Di Pietro (Idv) a denunciare un governo «che premia i disonesti e manda a casa gli onesti, i ricercatori e gli operatori di cultura». Immettono aria nei polmoni della sinistra extraparlamentare di Vendola (Sel): «Ha ragione la Gelmini, ci vuole il coraggio di cambiare quando di fronte hai il degrado della scuola pubblica al tempo del governo Berlusconi» e in quelli di Ferrero (Fds): «Mariastella Gelmini si conferma come il ministro della distruzione e della precarietà».
Il gioco delle dichiarazioni dei politici non esaurisce le potenzialità dell'onda nata - o rinata - ieri. La domanda di «futuro» ripetuta ossessivamente sugli striscioni, sui volantini, negli slogan, risponde a un problema che quasi nessuno dei professionisti della dichiarazione di maggioranza o di opposizione ha ancora considerato. Lo ha fatto l'Inps mercoledì scorso comunicando che a breve sarà permesso a 4 milioni di lavoratori parasubordinati (cioè ai precari, agli autonomi, a chi lavora in nero o gratuitamente, insomma chi è nato tra l'inizio degli anni Settanta e i primi anni Novanta) di consultare on line la propria posizione previdenziale, anche se non sarà possibile simulare l'importo della pensione. È troppo bassa, se non proprio inesistente, al punto che rendendola pubblica - ha ammesso il presidente Inps Antonio Mastropasqua - «rischieremmo un sommovimento sociale».
Una percentuale significativa della generazione che non accetta questa alternativa tra la miseria o la jacquerie distruttiva ha ripreso la parola. Nel futuro che rivendica c'è la riforma radicale dello stato sociale, una risposta progressiva alla crisi e nuovi investimenti nell'economia della conoscenza per non affogare nel buco nero che il suo paese prepara silenziosamente. Ascoltarla è un dovere. Ignorarla, un crimine.