Manifesto: ILe miserie dell'università italiana
In Italia si investe poco per gli studenti universitari. Per aumentare la produttività scolastica servirebbero più soldi e soprattutto spesi meglio. È la denuncia dell'Ocse nel rapporto sull'istruzione
Anna Maria Merlo
PARIGI
I giovani studiano di più rispetto al passato, frequentano maggiormente l'università e chi ha una laurea continua a guadagnare più di chi ha smesso presto gli studi (un vantaggio che resta particolarmente forte in Italia, perché è ancora basso il numero di coloro che hanno completato degli studi superiori). Questa situazione è confermata in tutti i paesi Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che riunisce i paesi più ricchi della terra. Ma all'interno di questo quadro generale, persistono differenze tra paese e paese. E gli stati sono ora, chi più chi meno, messi di fronte a un ostacolo significativo: i costi crescenti dell'istruzione. In un'epoca di tagli ai bilanci, ci sono già dei casi in cui la spesa pro capite per studente ha segnato una diminuzione: è in calo, negli ultimi dieci anni, in Ungheria, in Olanda e in Svezia, mentre in Germania, Belgio e Irlanda il ribasso è iniziato nel 2000. «La sfida attuale che devono affrontare oggi i paesi Ocse - ha affermato ieri il segretario generale dell'organizzazione, Angel Gurria, in occasione della presentazione del Glance 2008 sull'istruzione - è di rispondere alla domanda, migliorando la qualità, cosa che risulta non soltanto da un aumento delle risorse allocate ma anche in cambiamenti nella ripartizione della spesa». L'Ocse, che propugna in ogni settore la fede liberista, spinge a favore dell'entrata di fondi privati nel delicato settore dell'istruzione (la media Ocse è dell'86% di spesa pubblica nella scuola di ogni ordine e grado, ma in un paese come la Corea per le università i fondi privati sono al 75%, al 40% in questo settore negli Usa, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, ma solo del 5% in Danimarca). L'Ocse si chiede: come aumentare la «produttività» della scuola? In Italia, la spesa per allievo/studente è vicina alla media Ocse se si include l'asilo, che è il settore che funziona meglio da noi - 7540 dollari in Italia contro 7527 come media Ocse - ma cade al di sotto la media Ocse, che è di 8533 dollari per studente, se si esclude la materna. Il punto critico è soprattutto l'università, dove sono mancati gli investimenti adeguati (e non è - ancora? - stata imposta la politica scelta da paesi come la Gran Bretagna, che per far fronte al calo di investimenti pubblici nelle università fanno pesare i costi sempre più sulle spalle degli stessi studenti). Al terzo livello, cioè per l'università, segnala l'Ocse, la spesa per studente in Italia «è circa un quarto al di sotto della media Ocse», cioè 8026 dollari per studente, contro 11.512. In più, in Italia, tra il '95 e il 2005, l'aumento della spesa per studente all'università ha avuto una crescita «minore del 5%», mentre gli altri paesi Ocse, in media, aumentavano gli investimenti del 35%. La scuola è stata abbandonata dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni: gli investimenti nell'istruzione, sempre nel periodo '95-2005, sono aumentati meno della crescita del Pil (più 12% in Italia, contro una media di più 41% nell'Ocse). Inoltre, in percentuale l'Italia dedica meno soldi alla scuola: il 4,7% del pil, contro una media del 5,8%. E per di più, sottolinea il rapporto, «contrariamente alla maggior parte dei paesi Ocse, la spesa pubblica nelle università in Italia non è cresciuta tra il 2000 e il 2005». Le tasse di iscrizione restano basse in Italia, ma con questa scusa lo stato non ha messo in opera un numero sufficiente di misure, come le borse o le sovvenzioni per l'alloggio, per venire in aiuto agli studenti universitari. Per completare il quadro, l'Italia ottiene nel Glance 2008 il poco invidiabile primato dell'altissimo tasso di abbandono all'università (solo il 45% degli iscritti finisce gi studi superiori, contro una media Ocse del 69%), con il risultato che, come numero globale di laureati e specializzati, l'Italia resta il fanalino di coda, accanto a paesi come Brasile, Turchia, Repubblica ceca e Slovacchia, e al di sotto di quello che fanno il Cile o il Messico. La laurea breve, introdotta nel 2002 con la riforma europea, sembra abbia migliorato un po' le cose su questo fronte: il tasso di laureati in Italia resta basso, al 19% tra i 25-34enni (media Ocse in questa fascia di età: 33%), ma è aumentato al 39% tra le ultime leve, dal 2000 al 2006. La scarsa produttività della scuola italiana, dice l'Ocse, è anche dovuta al basso tasso di produttività degli insegnanti, che in cambio di salari modesti hanno tempi di lavoro più brevi dei loro colleghi degli altri paesi (e una ratio insegnanti/allievi più bassa, cioè classi più piccole, dovute anche all'andamento demografico non troppo glorioso del paese). La situazione problematica dell'università si traduce in una scarsissima attrattività degli atenei italiani, un dato importante nel mondo globalizzato. Nel 2006, nei paesi Ocse 2,9 milioni di studenti hanno frequentato un'università al di fuori del proprio paese d'origine. Usa (20%), Gran Bretagna (11%), Germania (9%) e Francia (8%) ricevono circa la metà degli studenti stranieri nel mondo (e Francia, Germania, Giappone e Corea ne inviano il maggior numero all'estero). La percentuale degli studenti stranieri che scelgono l'Italia è al di sotto del 2% del totale (1,7%).