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Manifesto: Il simulacro dell'eccellenza per mantenere lo status quo

Gelmini invoca il cambiamento per conservare lo status quo, trovandosi non a caso i baroni come unici alleati nel mondo della formazione

14/11/2008
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il manifesto

Gigi Roggero

Le parole non sono né neutre né oggettive: disegnano un campo di battaglia. Così, Gelmini invoca il cambiamento per conservare lo status quo, trovandosi non a caso i baroni come unici alleati nel mondo della formazione. Oppure si può sostenere l'eccellenza per organizzare quel processo di dequalificazione dei saperi che permea l'università della (fallita) riforma. L'eccellenza, scriveva negli anni Novanta il teorico nordamericano Bill Readings, non è un criterio o uno standard valutativo: è la risposta ai movimenti studenteschi del '68, il «simulacro dell'idea di università», la riformulazione in termini aziendali dell'accademia humboldtiana, trasmutata in sito per coltivare le «risorse umane» attraverso il calcolo costi-benefici. L'eccellenza - e il suo concetto gemello, la meritocrazia - sono parole prive di un referente. Come il caso anglosassone dimostra, nei cosiddetti centri di eccellenza non necessariamente si trasmettono conoscenze qualificate: sono luoghi che consentono di accumulare «capitale sociale» e «umano», di entrare a contatto con lo star system (figure di fama mondiale strapagate per portare lustro a istituzioni il cui quotidiano carico didattico è interamente scaricato sui precari), di accumulare credito nei meccanismi di inclusione differenziale che governano il mercato della formazione. Al suo interno il valore - delle corporate university e della forza lavoro - viene prodotto attraverso unità di misura artificiali, dal sistema dei crediti a una sorta di reference economy . Ciò non ha nulla a che vedere con la qualità della ricerca e della didattica: è noto come si creino lobby accademiche in cui ci si cita vicendevolmente per aumentare il proprio valore e così decidere la posizione delle riviste nel mercato dei crediti e la composizione della peer review . Allora i sistemi di valutazione, lungi dall'essere quel criterio oggettivo descritto dai liberali italiani, costituiscono in realtà l'imposizione di un rapporto di forza. Un'altra unità di misura del valore è costituito dal numero dei brevetti, la cui nocività per l'innovazione e la qualità della ricerca - dalle nuove tecnologie al genoma - è ormai tema dominante tra gli stessi teorici neoliberali. Eccellenza e meritocrazia sono la cifra retorica che organizza l'aziendalizzazione dell'università, la misurazione artificiale dei saperi e i processi di gerarchizzazione del mercato del lavoro. Ma sono anche la contraddizione centrale del capitalismo contemporaneo, che deve continuamente bloccare la potenza del sapere vivo per poterlo controllare e segmentare. Attenzione, però: la lotta contro la retorica dell'eccellenza non può celare alcuna nostalgia per l'università del passato, proprio perché sono oggi i residui di quel passato, ovvero il governo feudale degli atenei, la via italiana all'aziendalizzazione, una paradossale forma di difesa dei privilegi baronali. L'onda anomala sta invece rovesciando la retorica della meritocrazia: ciò che è stata chiamata autoformazione è la fuga dalle macerie dell'università per sottrarre l'eccellenza dalle gabbie del declassamento e coniugarla con la libertà, in quanto autonomia delle forze produttive e del sapere vivo. Il problema non sono i finanziamenti al sistema universitario spaccato al suo interno da linee di potere e subordinazione. La questione è quella della rivendicazione di fondi per l'autonoma attività di formazione e ricerca di studenti e precari. Questa è la sfida che il movimento ha lanciato con l'autoriforma. Una sfida, questa sì, d'eccellenza.


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