Manifesto: Il numero 68 abolito per decreto
Renato Nicolini
![Decrease text size](/images/makeTextSmaller.jpg)
![Increase text size](/images/makeTextBigger.jpg)
Ho pensato ai fuochi d'artificio di ferragosto, leggendo sul Corriere della sera l'editoriale di Galli Della Loggia sulla «perdita di senso della scuola italiana». Il botto è così forte che basta a dare senso, se non alla scuola, all'articolo: così Della Loggia può divagare, sul tema ricorrente delle nefandezze del '68, perdendosi infine a cascata nel proporre l'italiano come porta verso il passato e la «matematica» come porta per il futuro.
Walter Benjamin, cui i fuochi d'artificio piacevano molto, ci ha insegnato a non sottovalutarli. Quello che importa in loro non è la costruzione logica, ma l'assonanza con il sentimento popolare che stimolano a manifestarsi ed emergere. Ripetono i fuochi del Corriere, il giorno dopo, ben due ministri, Maristella Gelmini («Quarant'anni da smantellare») e Giulio Tremonti («Il passato e il buon senso»). La Gelmini scrive: «Dal 1968 ad oggi la scuola è diventata quello che non può e non deve essere: un ammortizzatore sociale, una macchina erogatrice di stipendi (...). Una tipografia di diplomi inutili e inutilizzabili. Un mostro burocratico (...). In quarant'anni di ideologia politicamente corretta, di dominio ideologico della sinistra, la scuola è diventata tutto questo». Ugualmente emozionali i rimedi proposti: «Voto di condotta, divisa scolastica, insegnamento dell'educazione civica, ritorno al maestro unico, rilancio degli istituti tecnici e della formazione professionale. Autorevolezza, autorità, gerarchia, insegnamento, studio, fatica, merito».
Tremonti propone il «ritorno al passato e all' '800» (via alquanto surrealista per il «nuovo futuro»), e al voto in numeri («I numeri sono una cosa. I giudizi sono una cosa diversa. I numeri sono precisi»). E approda alla condanna del '68: «In sintesi c'è un numero da togliere e ci sono dei numeri da introdurre. Il numero da togliere è il numero 1968. I numeri da mettere: 10, 9, 8, 7. 6 etc.».
Peccato che Breton sia morto, ci starebbe benissimo in una nuova antologia dell'umorismo involontario. Tremonti lascia capire che società vorrebbe dalla scuola che vorrebbe: «Ogni valutazione deve mettere capo ad una classifica. Questa è la logica della valutazione. Se non c'è una classifica non c'è neanche una valutazione». E con civetteria aggiunge: «Nella scuola inglese esiste un primo classificato, un secondo classificato e così via. Mi sembra francamente esagerato». Con un brivido ho pensato a una notizia che mi aveva turbato in una visita in Giappone. A Tokyo una madre aveva ucciso un bambino di tre anni perché aveva superato suo figlio, escludendolo, negli esami di ammissione a una scuola materna particolarmente prestigiosa.
E soprattutto, per Tremonti: «La mente umana è semplice e risponde a stimoli semplici. I numeri sono insieme precisi e semplici. Il messaggio che trasmettono è un messaggio diretto». La società ideale per Mediaset, e per le performance del presidente spazzino. Che nessuno si azzardi a non presentarsi in divisa!
Quanto è grave la debolezza dell'opposizione, se lascia andare all'attacco la destra che oggi è al governo su un tema come la scuola! Su quale altro terreno dovrebbe incalzare la sinistra, se non su questo? L'uguaglianza di diritti nella formazione scolastica è l'essenza della democrazia, assieme alla libertà di opinione, di stampa, di vita culturale plurale, di ricerca e di dissenso. Significativamente tutte queste questioni sono state pesantemente messe in discussione già nei primi cento giorni del governo Berlusconi. C'è un filo nero che lega: i nuovi provvedimenti sulla stampa; il ministro Bondi - pennellato da Roberto Silvestri mentre annuncia una nuova commissione di censura economica sui film - considera spreco la ricerca, si compiace di non capire nulla di arte moderna; il ministro Gelmini che copre con l'annuncio del ritorno della divisa e del voto in condotta la condanna alla decadenza per l'Università italiana, dove, col corpo docente con l'età media tra le più alte del mondo, diventa ormai (per i tagli e per le nuove norme per il turn over) impossibile bandire nuovi concorsi. L'opposizione batta uno, due, tre, molti colpi. Bondi, Gelmini e Tremonti non me ne vogliano: è un'ironica citazione di uno slogan molto diffuso proprio nel terribile '68.