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Manifesto-Il non metodo di una libera creatività

MAESTRO Il non metodo di una libera creatività Una lunga storia Un'intervista al pedagogista Loris Malaguzzi scomparso nel 1994 Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista a Loris Malaguzzi tratta d...

25/02/2004
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il manifesto

MAESTRO
Il non metodo di una libera creatività
Una lunga storia Un'intervista al pedagogista Loris Malaguzzi scomparso nel 1994
Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista a Loris Malaguzzi tratta dal film "L'uomo di Reggio" di Carlo Barsotti. L'intervista è inedita e verrà presentata integralmente nel numero di febbraio della rivista "Bambini in Europa", pubblicata in occasione del convegno internazionale "Attraversar Confini".

Puoi raccontarci com'è iniziata la tua esperienza per la creazione delle scuole comunali dell'infanzia?

L'inizio della storia coincide con l'epilogo della guerra. Tempi duri, di grandi speranze, di riassestamento delle case, delle famiglie, degli animi. Una gran voglia di ricostruire quello che era stato distrutto, e soprattutto un senso di potenza che si ha quando si esce da una terribile catastrofe (....). C'era nell'aria la sensazione che le cose fossero tutte possibili, che potessero essere tutte affrontate. In questa situazione si colloca l'episodio di Villa Cella che è la matrice della nostra storia. Un'intuizione delle donne, una forte determinazione delle donne insieme alla solidarietà di un piccolo borgo di contadini, di braccianti, di operai. Sono loro che erigono, fra il 1945 e il 1947, la scuola di Villa Cella, che vogliono una scuola per i loro figli, per il riscatto dei loro figli; e qui comincia la storia. (...) Era una pedagogia speciale, non scritta nei libri; una filosofia fortemente popolare, con molti segni anarcoidi sul piano dell'organizzazione della scuola, dei tempi della scuola, del rispetto dei tempi. (...) Intanto queste "scuolette" autogestite, sulla scia di Villa Cella, crescevano, erano diventate otto, erano diventate nove. (...)

Nel `63 aprite le prime scuole comunali...

Sì. Finalmente alla fine del `63 il Comune vince la sua battaglia e cominciò a gestire le prime istituzioni infantili (...). Un passaggio fondamentale, necessario per la costruzione di una convivenza che dura dal mattino alla sera. (...)

Che forme prese l'approccio all'educazione dell'infanzia negli anni che seguirono?

(...) Negli anni `70 ormai le scuole erano conosciute, siamo già pronti a fare convegni nazionali, i primi convegni nazionali laici. Ne facciamo uno a Modena sul tema della gestione sociale, della partecipazione delle famiglie: un tema per noi importante, fu una valida intuizione in origine, e, ancora oggi, è per noi un valore imprescindibile. (...) C'era molta sete di conoscenze nuove, tutti volevano esplorare, volevano capire; era una specie di grande mercato delle idee. (...) furono in questi anni di grande crescita culturale, due incontri per noi eccezionali: con Bruno Ciari e con Gianni Rodari. Ciari lavorava a Certaldo in Toscana, era un maestro elementare, un maestro elementare speciale. Nel 1965 venne chiamato a Bologna a coordinare e a innovare tutte le attività dell'educazione infantile e si portava dietro questa sua grande maturità, questa sua vasta esperienza didattica. La nostra diventò un'amicizia molto salda (...) Gianni Rodari, scrittore, poeta, filosofo, politico, giornalista; con lui stringemmo un grande patto di alleanza. Gli veniva spesso il desiderio di passare da noi, fino a che nel `72 venne a Reggio, portò tutte le sue "scartoffie", il suo libro ancora scritto a macchina: La grammatica della fantasia, che diventerà poi un classico della pedagogia e della creatività e che simbolicamente dedicò a Reggio Emilia. (...) Tutta la nostra storia è stata in qualche modo attraversata da grandi personaggi. La nostra fortuna è stata quella di trovarli, di poterli incrociare lungo la strada, e soprattutto di conoscerli di persona. Con Bronfenbrenner, con Hawkins, con Freire, con Gardner, abbiamo potuto riflettere e discutere su questioni importanti. (...)

Il successo internazionale possiamo dire che cominciò con la mostra a Stoccolma nel 1980. Che cosa ha significato tutto ciò?

Il successo è cresciuto, via via, dagli anni `80. Che abbia cominciato la Svezia a essere fin dall'inizio estremamente interessata al nostre lavoro, è un debito di gratitudine e di grazia che abbiamo con gli svedesi. Le mostre che hanno preso il via nella nostra città girano ormai da oltre una decina d'anni. Hanno attraversato tutte le contrade europee. La mostra europea è stata invitata da governi, da ministeri dell'istruzione, dell'educazione. Una copia della mostra è stata necessaria per poter andare anche in altri continenti; in America dove la mostra continua ancora a girare dopo sette anni, attraverso università, musei, istituzioni pubbliche, gallerie private. (...) Tutto questo sta a dire alcune cose importanti: che forse non sbagliamo a partire da una visione ottimistica del bambino se questa ci conduce ad una qualità più alta del lavoro che facciamo e dei livelli di coscienza degli insegnanti. Questa immagine d'infanzia scopre quanto spreco il mondo, le potenze occidentali, continuino a effettuare nei confronti dei bambini, uno spreco delle intelligenze, delle capacità, delle risorse che i bambini posseggono, con tutto quello che da ciò consegue. Questo flusso continuo di richieste sta in qualche modo a significare quanto sia povero, bisognoso di aiuti, di risorse nuove tutto quel mondo che si sta muovendo o si muove nel settore dell'educazione infantile, che non riesce a essere portatore di una pedagogia nuova, diversa, che riconosca i diritti dei bambini. E quindi forse Reggio diventa una rappresentazione reale, concreta, di una esperienza che probabilmente da molte parti si è sognata, si è pensata, si è desiderata.


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