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Manifesto: Il governo attacca le pensioni I sindacati pronti alla lotta

Il limite potrebbe essere individuato sui 60 anni: chi esce prima verrebbe penalizzato. Il no Cgil: «I lavoratori hanno già dato». Contrari anche Cisl, Uil, Cub e Cobas: su l'età? Non se ne parla

01/09/2006
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il manifesto

Roma
L'ipotesi di innalzamento dell'età pensionabile alza un putiferio. Il governo pensa infatti di lasciare a 60 anni lo «scalone» (introdotto dall'ex ministro del lavoro Maroni), ma intenderebbe renderlo «flessibile» con incentivi per chi decide di lasciare il lavoro prima e disincentivi per chi va in pensione dopo quella data: è una delle ipotesi su cui sta lavorando il ministero del Lavoro guidato da Cesare Damiano. Questo sistema, ha spiegato il ministero, potrebbe evitare il «blocco» verso la pensione di una generazione di lavoratori (quelli che nel 2008 avranno tra i 57 e i 60 anni non compiuti) dando la possibilità di scelta tra l'uscita dal lavoro (con penalizzazioni sulla prestazione che si percepirà) e il proseguimento dell'attività. La soglia poi potrebbe crescere, sempre restando «flessibile», in linea con quella prevista dalla riforma Dini (61 anni dal 2010 per i dipendenti, 62 dal 2014).
Secondo il ministero anche la revisione dei coefficienti deve essere discussa, perchè a fronte di un aumento dell'aspettativa di vita se non si fanno aggiustamenti si rischia di fare «un passo indietro» rispetto alla riforma Dini. Essendo aumentata l'aspettativa di vita rispetto al 1995 - spiegano - per avere lo stesso assegno per più tempo dovrebbe essere necessario lavorare più a lungo. O, decidendo di uscire alla stessa età prevista nel 1995, bisognerebbe prendere un assegno più leggero. Che il governo intenda intervenire sul fronte pensioni è stato confermato ieri dal ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa, che per ammorbidire la pillola ha dichiarato: «Anche i miei figli sono precari, si deve pensare a una riforma flessibile per tutti». «Nel sistema pensionistico - ha detto il ministro - c'è qualcosa da correggere. E' un capitolo su cui c'è tensione finanziaria».
Le dichiarazioni di Padoa-Schioppa insieme alle indiscrezioni apparse sui giornali su una soglia possibile sui 62 anni per la pensione piena (con penalizzazioni al di sotto di questo limite), smentita comunque ieri dal ministro Damiano, hanno preoccupato i sindacati che hanno ribadito il loro no all'aumento dell'età e soprattutto alla revisione dei coefficienti (tra il 6 e l'8% il taglio previsto dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale). Morena Piccinini, segretario confederale della Cgil, giudica «sbagliate le considerazioni del ministro dell'economia in materia pensionistica circa l'allungamento della vita media»: «Infatti - spiega - se nel lavoro intellettuale anche 70 anni possono non pesare, tant'è che i docenti universitari e ancor più i politici non si dimostrano mai pronti al pensionamento, di converso per chi lavora nei cantieri, nelle fonderie, nelle campagne, è fuori del mondo pensare che possano valere gli stessi criteri, anzi ci pensano le imprese a buttare fuori dal lavoro quelle persone già ben prima dei 55 anni».
La Cgil aggiunge che «il sistema pensionistico ha finora retto sui sacrifici fatti negli ultimi anni dai lavoratori» e in particolare da chi oggi «vanta un credito», ovvero i precari. «I privilegi non stanno più nel lavoro dipendente - conclude Piccinini - E se il governo vorrà decidere da solo,dovrà affrontare la reazione di lavoratori e sindacati». «La riforma Dini - avverte Pier Paolo Baretta (Cisl) - prevedeva il ritocco dei coefficienti ma nessun aumento dell'età. Oggi non si può chiedere ai lavoratori di lavorare di più e prendere anche una pensione più bassa». No all'aumento dell'età anche dalla Uil, mentre la Cub minaccia lo sciopero generale. Contrario ai tagli scelti dalla finanziaria pure Piero Bernocchi, dei Cobas. Il Prc, con Giovanni Russo Spena, dice che «la manovra da 30 miliardi e i tagli alle pensioni sono insostenibili».


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