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Manifesto: I test dell'inutilità

Tra numero chiuso e flessibilità del lavoro, l'accesso all'Università regolato da un greve principio di scarsità

08/09/2008
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il manifesto

Bruno Accarino

Imiei migliori studenti sono quelli che, al loro primo ingresso nell'istituzione universitaria, sbagliano l'impatto con il Beruf weberiano: non azzeccano né la professione né la vocazione. Agli esami mi presentano libretti dalla foggia (per me) strana e si affrettano a spiegare: «Ho cambiato Facoltà, papà voleva che facessi il notaio (o il dentista, o l'astronauta), ora si è rassegnato, per fortuna sono scappato da qualcosa che non era oggetto del mio desiderio». Lo scampato calvario mette in moto grinta, motivazioni, interessi, dedizione: ecco perché spesso sono i migliori. Sono quelli che hanno toccato con mano le conseguenze di un contatto diretto con una disciplina. I test di accesso all'Università in pieno svolgimento in questi giorni riescono nella titanica impresa di radunare molte irrazionalità. Lasciamo stare le bizzarrie dei quesiti, quelle sono la parte involontariamente comica della faccenda. Il punto è che, sia o no conclamato e operante il numero chiuso, un grande paese occidentale trova di fatto delittuoso che chi si sta appena affacciando alla finestra della vita adulta possa avere un orientamento non ancora definito. I test, infatti, non accertano nulla né potrebbero accertare nulla, però fidelizzano e incatenano in modo perverso. Come la monaca di Monza, che la chiamata del Signore (l'antecedente religioso, secondo Max Weber, della professione/vocazione) non l'aveva proprio sentita ma in convento c'era finita lo stesso, i neodiplomati vengono inquadrati nel loro destino, indipendentemente dall'esito del test: vengono sottoposti ad un passaggio biografico greve e pacchianamente solenne, ad un'età in cui il trial and error dovrebbe essere, almeno per un anno o due, un diritto naturale. Certo, vanno volontariamente alla piramide sacrificale, ma dopo essere stati derubati della ricchezza esplorativa dei giovani e della possibilità di sondare davvero le proprie capacità e inclinazioni. A nulla vale l'aumento della longevità degli uomini e delle donne: il totem del disciplinamento dice che bisogna spicciarsi, magari molto prima della soglia del diploma, quasi il mercato del lavoro fosse lì, impaziente e a braccia conserte, ad attendere nuove leve. Magari bisogna darsi una mossa già quando c'è da scegliere, senza rimedio, tra indirizzo professionale e indirizzo liceale. Meno ancora valgono le chiacchiere portate dal vento della globalizzazione: amicizie brevi à la Nietzsche, molti mestieri, amori ancora più fuggevoli delle amicizie, bagaglio sempre leggero e a portata di mano, apprendimento che dura tutta la vita. La flessibilità è buona solo quando vivacizza le cronache rosa o quando serve all'impresa. La liberalizzazione degli accessi? Una bestemmia sessantottina (c'ero anch'io: devo depositare le impronte digitali?). Oggi furoreggia la scarsità dei posti disponibili, si accede solo passando per il collo di bottiglia, anche in gelateria. La scarsità è come la crisi: da quando non si usa più il vocabolario di greco, o non si ha più un'idea del criticismo di Kant, lo spaventapasseri della crisi copre una gamma di eventi che va dai crolli catastrofici in borsa al ginocchio malandato di Ibrahimovic. Allo stesso modo, c'è scarsità di risorse idriche e di mense per i bambini, rarefazione dei ghiacciai ed esiguità del personale addetto alla manutenzione del condizionatore sulle carrozze ferroviarie. Tutto in un fascio, tutto effetto di catene indominabili di circostanze: anche i lavoratori si squagliano come il ghiaccio, basta tagliare posti qua e là. La scarsità, diceva Ivan Illich, è una parola amebica: ha pochi caratteri, va bene quasi dappertutto, suona irresistibilmente moderna, non ha bisogno di libretto di istruzioni e, soprattutto, intimidisce chi non si piega all'ineluttabilità del male. Ma a nessuno viene il sospetto che, in società che battono ogni giorno il record di densità dei cellulari, non sarebbe fuori posto il lusso concesso a chi, anche nella scelta degli studi, vorrebbe poter sbagliare e tornare indietro. Lo studente universitario fuori corso? Un reietto, la feccia della società, un serial killer di tutti i criteri di efficienza. Gravida del suo bagaglio penitenziale, la scarsità miete le sue vittime naturalizzando lo stato presente delle cose: che non sembra più avere dietro di sé le violente distorsioni accumulatesi nella distribuzione della ricchezza sociale, ma la numinosa ultimità del bios . Qui già cascherebbe l'asino, perché è ormai accettato da tutti che la dotazione biologica degli esseri umani non è troppo povera, ma squilibratamente ricca: una razionalità sociale non dedita esclusivamente alla produzione di merci proverebbe ad assecondare il potenziale civile di questo bagaglio, invece di mortificarlo con la dieta trappista degli esami che cominciano subito e non finiscono mai. Come se non bastasse, i test universitari evocano per automatismo trucchi ingegnosi e pratiche truffaldine, raccomandazioni e mercimoni di varia natura. Non è il solito vezzo italico di appellarsi ai santi (degli altri) in paradiso quando ci si imbatte nelle asperità della vita, è che la scarsità si sposa perfettamente con l'universo delle prebende e dei favori, della scaltrezza e del piccolo cabotaggio di chi sa farsi «imprenditore di se stesso». I poveri in carne ed ossa non interessano a nessuno, ma la fine del pauperismo toglierebbe l'ossigeno alle dame di S. Vincenzo e alla sussidiarietà che la loro vena benefica scimmiotta in miniatura. Non si reintegra la logica del dono per capire se il welfare , quando non è un mero simulacro, è troppo costoso e ha bisogno di supplementi gratuiti, ma per mandare avanti la lotteria: il dono per eccellenza, con un'aura di miracolo e di religiosità che non guasta. RACCOMANDATI Ottenere una raccomandazione è il modo migliore per superare i test di ammissione all'università. È quanto emerge da un sondaggio condotto dal sito Universinet.it, su un totale di 3.160 utenti iscritti, di cui 1.876 di Roma. Ben il 75% degli iscritti (69% tra quelli di Roma) sostiene, infatti, che trovare una raccomandazione per i test sia più importante di studiare (come afferma il 20% su scala nazionale, 25% a Roma). Per trovare una raccomandazione il «canale» più sicuro sarebbe un parente professore (33%), seguito da una relazione sessuale con un professore o impiegato dell'università (17%) o i costosissimi «corsi di preparazione ai test» organizzati da ex professori (15%). Il 27% dei candidati che hanno risposto, inoltre, sarebbe disposto a pagare per entrare all'università, mentre il 16% si dichiara pronto a «prestazioni sessuali». «VIA I QUIZ » «I quiz sono troppo nozionistici, li riformeremo, ma prima occorre una approfondita riflessione». Lo ha detto il ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, annunciando, in una intervista a un quotidiano, l'intenzione di intervenire per modificare il sistema di selezione per le facoltà a numero chiuso. «Non ho avuto il tempo di intervenire prima delle prove dice il ministro - ma lo farò presto, i test attuali valutano le nozioni e poco le capacità di ragionamento». Il ministro precisa quindi che «ci sono altre cose da chiarire, se sia preferibile che i test siano gestiti dai singoli atenei o dall'Università».


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