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Manifesto-I mercanti nel tempio del sapere

Oggi mobilitazioni dei ricercatori in tutti gli atenei contro la riforma Moratti I mercanti nel tempio del sapere Un forum con sei ricercatori precari sul destino dell'università italiana. L'obiett...

04/03/2004
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il manifesto

Oggi mobilitazioni dei ricercatori in tutti gli atenei contro la riforma Moratti
I mercanti nel tempio del sapere
Un forum con sei ricercatori precari sul destino dell'università italiana. L'obiettivo delle mobilitazioni di queste settimane è il ritiro della proposta di legge della ministra Letizia Moratti, ma non risparmiano critiche al centrosinistra. I loro racconti sono racconti di una precarietà a tempo indeterminato e di una situazione "sull'orlo dell'abisso". Denunciano la costante diminuzione dei finanziamenti che penalizza il sistema universitario pubblico a favore di quello privato

A tempo determinato Noi ricercatori precari facciamo di tutto, esami, lezioni e attività di ricerca. Siamo i pilastri dell'università. Se incrociamo le braccia, tutto si blocca
Oggi saranno di nuovo loro i protagonisti dell'Università. In tutti gli atenei si riuniranno, vuoi per occupare i rettorati, vuoi per incontrarsi e mettere in comune esperienze, elaborare proposte. Sono i ricercatori, i dottorandi, in alcuni casi docenti a contratto dell'università italiana. In comune hanno contratti a tempo determinato di lavoro e vedono nella proposta di legge delega sul riordino dello stato giuridico della docenza presentata da Letizia Moratti la ratifica istituzionale e a tempo indeterminato della loro precarietà. Nelle scorse settimane hanno più volte ribadito che la precarietà uccide la ricerca, perché nega la necessaria continuità che serve a quell'attività di indagine, verifica di ipotesi e di confronto, indipendentemente se si parli di fisica, biologia o filologia romanza. Infine, vogliono difendere il carattere pubblico dell'università italiana, senza però nessuna nostalgia del passato. Un forum con alcuni di loro è il primo passo per comprendere le loro ragioni e le loro proposte. Sono ricercatori e dottorandi che hanno alle spalle anche dieci anni di lavoro permanente e continuato all'interno dell'università. Con orgoglio sostengono di essere "il pilastro di ciò che ancora funziona nell'università italiana. Facciamo ricerca, esami, insegniamo, supplendo con il nostro impegno alle carenze strutturali che contraddistinguono gli atenei. In una situazione dove è costante la riduzione dell'impegno finanziario da parte dello stato italiano, se noi incrociamo le braccia la paralisi dell'università italiana è assicurata. E tuttavia non vogliamo mantenere lo status quo. Noi, l'università vogliamo davvere cambiarla radicalmente".

In sei, tra di loro anche uno studente, si sono confrontati e hanno pazientemente esposto le ragioni delle mobilitazioni di queste settimane. La parola passa dunque a Sonia Gentili e Andrea Capocci della "Rete nazionale dei ricercatori precari", Anatole Fucksas e Lapo Casetti del "Coordinamento nazionale dei giovani ricercatori", Augusto Palombini dell'"Associazioni dei dottori in ricerca" e Alberto di Nicola, studente di Sociologia e attivista del gruppo romano "Sapienza Pirata".

SONIA. Da almeno due anni gli organi istituzionali di autogoverno dell'università stanno trattando con Letizia Moratti. Mi riferisco al Consiglio dei rettori dell'università italiane (Crui) e al Consiglio universtario nazionale (Cun). Ma finora nulla si sa sull'oggetto della trattativa. E' arrivato il momento che si esca dal chiuso delle stanze segrete e si discuta pubblicamente sul destino dell'università. E in questa discussione noi vogliamo dire la nostra. Molti di noi sono ricercatori precari che hanno alle spalle anni e anni di presenza all'interno dell'università e abbiamo assistito a un percorso, di cui la proposta Moratti è l'ultima tappa, che ha portato l'università italiana sull'orlo del precipizio.

La precarizzazione del reclutamento ha origine con un governo di centrosinistra. La riforma di Luigi Berlinguer era presentata come un intervento "modernizzatore" del sistema universitario italiano per adeguarlo alla situazione europea. Ma così facendo ha semplicemente aperto la strada alla precarietà. Letizia Moratti fa però un passo in più: sposta il centro decisionale nel sistema dei finanziamenti. La logica dominante è mercantile. Per questo governo, la ricerca e l'università devono adeguarsi ai principi della domanda e dell'offerta. Alla luce della costante riduzione dei finanziamenti dedicati all'università e alla ricerca, mi sembra che la coseguenza della proposta di Letizia Moratti è la marginalizzazione dell'università pubblica a favore di mitici centri d'eccellenza che si accaparreranno le magre risorse disponibili. Noi vogliamo invertire la tendenza, attraverso un aumento dei finanziamenti destinati all'università e alla ricerca pubblica e riaprire il reclutamento senza sanatorie.

ANDREA. Da destra, molti hanno scritto o affermato che dietro le mobilitazioni di queste settimane c'era un generico antiberlusconismo. Se guardiamo la realtà dal punto di vista delle attuali posizioni di alcune confederazioni sindacali e dei partiti di centrosinistra ci accorgiamo che c'è una mancanza di coerenza da parte loro. Per anni, il centrosinistra tutto ha sostenuto che la flessibilità era la panacea di tutti i mali, compreso quello che colpisce l'università. Ora sono in prima fila a dire che la precarietà nell'università non va bene e al tempo stesso sono possibilisti se parlano di misure contro la disoccupazione. Mi sembra una logica che conduce ad affermare che la precarietà va bene per gli autoferrotranvieri e non per i ricercatori.

Da alcuni mesi a questa parte avanza anche una bizzarra posizione per giustificare gli interventi dell'attuale governo a favore della deregulation del sistema della ricerca e dell'università. Si favoleggia che nelle università europee o in quelle statunitense la precarietà è la regola dominante e che lì le cose funzionano. C'è un però: non è così. L'accesso nelle università europee prevede certo una situazione di iniziale "precarietà", ma è una condizione temporanea. Si ha di fronte un iter al fine del quale la situazione è regolarizzata e certa. E questo non accade solo in Francia o in Germania, ma anche negli Usa. Il panorama che si prefigura per l'Italia è invece il regno della precarietà in un contesto in cui la ricerca e l'università pubblica sono marginalizzate a favore dei privati. Inoltre, se parto dal mio lavoro di ricercatore, sono altresì interessato all'uso dei risultati della mia attività di ricerca. Una battaglia contro la precarietà è infatti parallela a una denuncia della privatizzazione dei saperi e della limitazione dell'accesso al sapere. L'accesso al sapere, il diritto alla formazione permanente sono da considerare diritti universali. Non puoi dunque condurre una battaglia su un aspetto, ignorando l'altro.

ALBERTO. Mi muovo come un pesce fuor d'acqua. Sono uno studente e tuttavia credo che la proposta di Moratti riguarda anche me. Prendiamo, ad esempio, l'appello francese sottoscritto da migliaia di intellettuali, ricercatori e lavoratori dell'industria culturale contro la "guerra all'intelligenza" sferrata dal governo di destra. Uno degli elementi che lo caratterizza è la sottolineatura sulla precarizzazione del lavoro intellettuale. Una condizione che riguarda sempre più la maggioranza dei lavoratori in generale. La precarietà è il mio destino. D'altronde, la riforma dei piani di studio fatta alcuni anni fa istituzionalizza il fatto che l'università deve formare una forza-lavoro flessibile. Inoltre stabilisce, attraverso gli stage, che gli studenti devono lavorare per alcuni mesi senza essere pagati. Per questo ritengo che i ricercatori precari devono allargare la base sociale della loro protesta. Servono cioè spazi pubblici di discussione sull'università, sulla ricerca, sulla privatizzazione dei saperi, sulla disoccupazione, sul salario e sul reddito.

ANATOLE. Vorrei introdurre un elemento che finora non è emerso. L'assemblea del 17 febbraio ha aperto il vaso di pandora. In ogni università c'è stata una presa pubblica di parola dei ricercatori precari che incontra il consenso di moltissimi docenti. Si tratta di piccoli "eventi" che stanno mettendo in discussione la struttura ossificata dell'istituzione universitaria. Il fatto positivo è che si tratta di momenti di discussione che vedono assieme docenti, ricercatori e studenti. In queste settimane sta emergendo il nodo della responsabilità del ricercatore, che risponde alla società del suo lavoro e non a questo o quello sponsor. La posta in gioco è quindi alta: si tratta di difendere il carattere pubblico dell'università e del sapere. Per raggiungere tale obiettivo bisogna parlare con tutti, dai docenti ai sindacati confederali ai partiti del centrosinistra. Serve duttilità, mantenendo però la radicalità delle nostre parole d'ordine.

AUGUSTO. Anche io penso che dobbiamo parlare con tutti. Anche il Crui e il Cun sono luoghi che vedono confrontarsi posizioni diverse, articolate. Per esempio, la proposta dei concorsi ciclici per regolare l'accesso all'università possono trovare dei consensi anche tra i docenti e i rettori. L'esperienza dei "dottorandi" insegna che c'è bisogno di normative che prevedono sì il tempo determinato, ma limitandolo. La precarietà è una chance per entrare nell'università, ma solo se è regolata e limitata nel tempo.

LAPO. La proposta di legge della Moratti interviene in una materia delicata qual è la figura istituzionale del ricercatore universitario. Mi sembra che nel progetto di questo governo ci sia il secco ridimensionamento della ricerca nell'università, che si appresta quindi a diventare un luogo dove si insegna un insieme di nozioni utili al sistema delle imprese. Viene quindi a cadere uno dei fattori storici che hanno segnato la ricerca universitaria in epoca moderna, cioè che la ricerca avviene in una comunità che si autoregola. Tra di noi è comune la convinzione che l'università così come è non funziona. Noi difendiamo il suo carattere pubblico, ma vogliamo tuttavia cambiare radicalmente l'università. Non neghiamo la necessità di un meccanismo "selettivo" nel "reclutamento" dei ricercatori. Una selezione però che salvaguardi l'autonomia della ricerca da vincoli economici che definiscono aprioristicamente la redditività dei risultati. La ricerca di base, così come l'insegnamento di alcune discipline, ha tempi e luoghi che non posono e devono essere misurati con il metro di giudizio del mercato. Per questo, il nostro primo obiettivo è il ritiro della proposta della ministra Moratti.

Forum a cura di Luca Tancredi Barone, Matteo Bartocci e Benedetto Vecchi


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