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Manifesto: I due diritti nella scuola

Andrea Ichino

14/03/2008
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il manifesto

I due diritti nella scuola
Sul manifesto del 5 marzo, Alba Sasso riferendosi a un mio articolo sul Sole24ore del 22 febbraio, ha omesso di ricordare il punto di partenza del mio ragionamento. Le assenze degli insegnanti danneggiano di più l'apprendimento degli studenti poveri che non quello degli studenti ricchi. Questo per due motivi.
Primo: l'assenteismo è più alto nelle scuole che servono quartieri poveri. Secondo: gli studenti con famiglie benestanti possono «comprarsi» altrove le nozioni che non ricevono dagli insegnanti assenti. Queste affermazioni non sono ipotesi, ma si basano su ricerche statistiche tra cui quella sulle scuole pubbliche della North Carolina citata nel mio articolo. Senza questo presupposto non si capisce perché sia interessante riflettere sulla proposta che quello stesso studio esamina.
Chiedo a Alba Sasso e ai lettori del manifesto se secondo loro esiste o no una contrapposizione tra due diritti ugualmente suscettibili di tutela: il diritto dello studente povero a avere gli insegnanti in classe per ridurre lo svantaggio rispetto allo studente ricco che ne ha meno bisogno, e il diritto dell'insegnante malato o con i figli malati a stare a casa. Perché, ad esempio, dovrebbe avere più diritti il figlio di un insegnante piuttosto che il figlio dell'operaio nella classe di quell'insegnante? Se questa contrapposizione esiste (e io non vedo come si possa negarla) è soprattutto a noi persone di sinistra che spetta affrontarla e risolverla. E le risorse per farlo non sono infinite! Anche perché chi paga il salario degli insegnanti statali non è un avido «padrone delle ferriere», ma sono i cittadini stessi con le loro tasse. E per l'istruzione post obbligo scolastico, sono i cittadini meno abbienti, i cui figli frequentano meno le superiori e l'università, a finanziare con le loro tasse la scuola pubblica, che è quasi gratuita anche per i più abbienti.
Quanto alla proposta, non si tratta di uno «scherzo», come appunto dice Alba Sasso, ma di una seria simulazione statistica basata sui dati dello studio sulla North Carolina citato nel mio articolo. Quella simulazione mostra che disincentivando economicamente le assenze, i risparmi sui costi di sostituzione degli insegnanti consentirebbero di aumentare le retribuzioni medie di tutti gli insegnanti, non solo quelle «dei più bravi». Il meccanismo è lo stesso di un contratto di assicurazione. Per assicurarsi contro il rischio di malattia gli insegnanti (tutti) di fatto pagano un premio che riduce la loro retribuzione. Se accettassero una minore assicurazione potrebbero pagare un premio inferiore, ossia ricevere un salario maggiore. Ovviamente a tutti piacerebbe essere pagati tanto e poter stare a casa quando si vuole. Ma credo siamo tutti d'accordo sul fatto che questo non sia possibile. Molti replicheranno che gli insegnanti preferiscono pagare il premio assicurativo, ossia sono di fatto contenti di essere pagati di meno col vantaggio di poter stare a casa quando vogliono.
Ma se facessimo un referendum su questo (sono un insegnante statale anch'io) non so se questa ipotesi sarebbe confermata. Il mio punto, comunque, è un altro: anche se gli insegnanti preferissero così, rimarrebbe il problema del diritto degli studenti poveri a avere i loro maestri in classe con la necessaria continuità e con un tasso di assenze non superiore a quello che si registra in una azienda gestita bene, dove vengono attivati gli incentivi giusti.
Un diritto che dovrebbe stare a cuore anche a tutti i lettori de il manifesto.


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