Manifesto: Gelmini «apre» alla Lega
Ritirato il test di dialetto, il Carroccio ora propone prove ad hoc per accedere agli albi regionali
Il ministro dell'Istruzione: «Sulle tradizioni locali si può ragionare»
Stefano Milani
«Un bufala». La sindrome della smentita colpisce anche la Lega. Non più di due giorni fa il partito di Bossi aveva infuocato lo scontro politico del Paese ipotizzando l'introduzione di un test di dialetto per i professori così da verificare, a dire dell'esponente del Carroccio Paola Goisis ideatrice della proposta di legge in commissione Cultura, il livello di conoscenza degli insegnati «della storia, della cultura, delle tradizioni e della lingua della regione in cui vogliono andare a insegnare». Apriti cielo. Agli scontati levati di scudi dell'opposizione si sono aggiunti quelli della stessa maggioranza, imbarazzata dall'ennesima sparata-ricatto dei colleghi padani. E così è bastata un notte per riordinare le pazze idee venute da Nord e perché la proposta diventasse una «bufala». Con tanto di morale: «Bisogna informarsi prima di protestare», la risposta stizzita del capogruppo della Lega alla Camera Roberto Cota dopo aver letto i giornali.
Ma se non ci sarà un test di dialetto per i futuri insegnanti, la Lega non vuole rinunciare alla sua crociata sull'identità locale e propone una prova pre-selettiva per l'iscrizione agli albi regionali nella quale «si attesti la tutela e la valorizzazione del territorio da parte dell'insegnante». E poi, taglia corto Cota, «le proposte di riforma della scuola le deve fare il ministro Gelmini» e non devono essere affidate a «estemporanee proposte anche se provenienti da presidenti di Commissione». E a quanto pare nella riforma del ministro all'Istruzione tutte queste rimostranze leghiste trovano largo spazio. Tutte proposte su cui «si può assolutamente ragionare» spiega l'inquilina di viale Trastevere, sottolineando che «non c'è su questo tema nessuna conflittualità tra Lega e Pdl». Insomma, è la solita «polemica distante dalla realtà».
Come funziona questo nuovo federalismo scolastico? Per iscriversi all'Albo regionale, il docente dovrà superare «test omogenei di valutazione con alcune domande chiave per verificare la conoscenza e la consapevolezza dei valori, degli scopi, degli obiettivi e dei requisiti generali dell'insegnamento». Questo l'incipit dell'emendamento che il Carroccio punta ad inserire nella riforma della scuola il cui esame è stato sospeso martedì in commissione Cultura della Camera. Perché si possa concedere l'iscrizione all'Albo regionale, il Comitato dovrà quindi valutare l'influenza «che il sistema valoriale» del candidato potrà avere «sull'apprendimento degli studenti, influenzando il loro sviluppo fisico, intellettuale, linguistico, culturale ed emotivo». Tradotto, spiegano alcuni esponenti dalla camicie verdi, significa che il Comitato dovrà valutare quanto, ad esempio, «il parlare napoletano di un professore possa influire nella formazione di studenti di altre regioni».
Un gustoso antipasto per arrivare al piatto forte: il dialetto appunto. Prova ne sono le due proposte di legge parcheggiate a Montecitorio da Davide Caparini e a Palazzo Madama dal capogruppo Federico Bricolo. Quest'ultima in particolare prevede l'insegnamento obbligatorio di quattordici «lingue»: le dodici previste dalla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, che il nostro Paese ha sottoscritto nel lontano 1992 ma che non ha ancora ratificato, più il veneto e il piemontese. In Italia, sottolinea la Lega, ci sono comunità di cittadini italiani che parlano albanese, catalano, tedesco, greco, sloveno, croato, francese, franco-provenzale, friulano, ladino, occitano. Tutti idiomi inseriti nella lista delle lingue regionali da tutelare secondo la Carta europea, insieme al sardo. A questo elenco, dice il Carroccio, vanno aggiunti il veneto ed il piemontese, «fin qui irragionevolmente escluse, nonostante siano parlate da milioni di persone in diversi Stati», spiega Bricolo.
Ma contro questa Babele italica sono già pronte le barricate. Politiche soprattutto, e non solo dall'opposizione. Ci sono, infatti, parecchi esponenti del Pdl che ritengono questa storia una «boutade estiva priva di fondamento». E c'è perfino chi come la presidente pidiellina della commissione Cultura della Camera, Valentina Aprea, che ritiene che la «pre-selezione deve avvenire sulla base dei titoli di studio conseguiti, non certo sulla loro conoscenza del dialetto». Dal Pd interviene la capogruppo al Senato, Angela Finocchiaro, che non si capacita: «Ci sono cose che vanno oltre l'ammissibile in un dibattito pubblico politico e serio in un Paese democratico che dovrebbe avere il senso della propria unità». Ma la bocciatura è totale anche oltre i confini parlamentari. Se l'Associazione nazionale presidi mette in dubbio la costituzionalità della proposta made in Lega, i sindacati non hanno dubbi: «Siamo allo smembramento della scuola pubblica italiana».