Manifesto: Entro ottobre l'università si fa privata
GELMINI D'AUTUNNO
ROMA
È autunno. Come l'influenza stagionale arrivano i progetti del governo sull'istruzione. Stavolta tocca all'università. «Entro ottobre approveremo in consiglio dei ministri la riforma Gelmini - tuona il premier in conferenza stampa - porteremo la meritocrazia e favoriremo l'accesso dei giovani garantendo la totale trasparenza dei concorsi».
Parole sante, verrebbe da dire guardando allo stato dei nostri atenei. Pur di avere merito, ricerca e trasparenza si potrebbe anche sorvolare sul fatto che di maggiori fondi all'università nella finanziaria appena varata non c'è traccia. Arriveranno, se arriveranno, dai proventi dello scudo fiscale e della lotta all'evasione. Soldi zero.
E di cosa tratti la riforma lo spiega un po' meglio un solerte comunicato del ministero. Tra leggi già approvate (133 e 180 del 2008), regolamenti di attuazione e nuove norme, Gelmini accelererà la trasformazione delle università in fondazioni private. Il cuore della riforma, infatti, riguarda la governance degli atenei.
I rettori avranno un mandato complessivo massimo di 8 anni (inclusi quelli precedenti alla riforma). Mentre il cuore della gestione passa al cda a discapito del senato accademico. Il senato (da 50 a 35 membri) avanzerà solo le proposte scientifiche. Il cda si occuperà della gestione, delle spese e delle assunzioni. Gli amministratori saranno 11 (contro i 30 attuali) e per il 40% saranno scelti fuori dall'ateneo. Secondo il ministero dovrebbe essere rafforzata la componente studentesca. Ma saranno esterni (in maggioranza) anche i «valutatori» dell'ateneo. Accanto al cda viene introdotta la figura del direttore generale, vero e proprio manager del sapere. Blocco totale delle assunzioni nelle università che spendono il 90% del fondo ordinario per il personale. Resta il blocco del turn over. Quelle virtuose, infatti, potranno assumere il 50% dei ricercatori rispetto ai professori andati in pensione.
Spunta inoltre la «chiamata diretta» da parte del cda per «docenti di fama», anche stranieri.
La riforma incoraggia anche le fusioni tra università diverse «per abbattere i costi», cambia la contabilità dei bilanci, dimezza gli attuali 370 settori disciplinari (dovranno avere una consistenza minima di 50 ordinari) e cambia gli scatti stipendiali dei professori.
Una commissione nazionale (con membri italiani e stranieri) abiliterà i docenti per i concorsi alle fasce di docenza secondo «parametri predefiniti». Le università potranno assumere solo i docenti approvati dalla commissione. I professori a tempo pieno dovranno lavorare 1.500 ore all'anno, di cui almeno 350 tra docenza e servizio agli studenti.
Chi non pubblica perirà: niente aumenti salariali e niente partecipazione come commissario ai concorsi. Il ddl infine prevede (almeno) due deleghe alla ministra: una per la riforma dei dottorati di ricerca e l'altra sul diritto allo studio, in accordo con le regioni, per le borse agli studenti. m. ba.