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Manifesto: «Ecco perché non ci stiamo»

Il segretario Cgil Epifani spiega il dissenso «su merito e metodo» rispetto alla proposta della Confindustria. «Serve un unico modello esteso a tutto il lavoro, se no si apre il far west». Sugli aumenti: «E' una riduzione programmata dei salari».

03/10/2008
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il manifesto

Sulla stessa linea la Fim Cisl
Antonio Sciotto
ROMA

E' una riduzione programmata dei salari». Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani ha spiegato a chiare lettere perché la proposta della Confindustria è inaccettabile: lo ha fatto ieri, convocando tutti i giornalisti all'indomani della «rottura» annunciata da Emma Marcegaglia, la presidente di Confindustria che ipotizza un nuovo contratto separato con le sole Cisl e Uil. Posizioni supportate da uno studio dell'Ires Cgil, una serie di tabelle che mostrano come i salari italiani - se si accettasse il testo scritto dalle imprese perderebbero punti di potere di acquisto nei prossimi anni: almeno 2,7 punti, se ci limitiamo al quadriennio 2008-2011. Che poi risultebbero pari a 1.914 euro. «E sarebbe una perdita strutturale, programmata in partenza, irrecuperabile - incalza Epifani - perché la proposta di Confindustria abbassa la base di calcolo e depura l'inflazione importata con i beni energetici». Inoltre, il segretario Cgil nota come «a dispetto degli ultimi anni, in cui siamo stati accusati di essere "vecchi" e "conservatori" perché non accettavamo la sfida del secondo livello, nel testo delle imprese il secondo livello è immutato rispetto all'accordo del luglio 1993: non viene abolita la formula "secondo prassi", il che vuol dire che praticamente non si farà». Insomma, un impoverimento certo, senza scampo. C'è poi un problema di metodo «gigantesco», aggiunge Epifani: «Non possiamo firmare un accordo con la sola Confindustria e poi vedere se lo assumono le altre associazioni datoriali. Si aprirebbe un far west, dove ogni settore ha le sue regole, e così si potrà scegliere volta per volta il contratto più conveniente, aprendo un dumping sempre al ribasso». Al contrario, «va assunto un modello valido per tutti, per il pubblico e il privato: perciò il tavolo va allargato subito alle altre associazioni d'impresa, e deve essere coinvolto anche il governo». Sono poi tanti i problemi di merito: il fatto che «il secondo livello è quello del 1993, per giunta imbrigliato dall'arbitrato, mentre altre norme irrigidiscono il primo livello. Un "modello sovietico": non c'è più libertà di contrattazione». Ancora: «La derogabilità prevista è solo in peius , c'è poi una bilateralità così estesa da voler rendere il sindacato un serbatoio di servizi per le imprese». Infine, c'è quello che il segretario Cgil definisce «il trucco»: «La riduzione dei salari al primo livello avverrebbe su due fronti: innanzitutto si vuole ridurre la base di calcolo, e poi si sottrae l'inflazione importata. Nel 2008 sarebbe pari al 0,9%, ma il ricarico per i lavoratori sarebbe doppio, perché le famiglie pagano le bollette il 45% in più rispetto agli altri paesi europei, mentre le imprese solo il 36%». Anche il recupero ex post previsto dalla Confindustria, non recupera più di tanto: «Intanto perché anche in quel caso non si tiene conto dell'inflazione importata, che dunque è persa per sempre. E poi viene fatto solo se c'è uno scostamento "in termini significativi" dell'inflazione reale rispetto alla programmata. Vuol dire, insomma, che se lo scostamento è allo 0,3%, il recupero non si discute neppure». Problemi che vengono acuiti dall'attuale governo, dato che «è la prima volta che l'inflazione programmata è un terzo di quella reale: l'1,7% a fronte del 3,6-3,8%», e «dato che c'è l'ulteriore ricarico della non restituzione del fiscal drag , almeno uno 0,5% in più che viene sottratto alle buste paga. Ma che politica dei redditi è questa?». Le critiche, insomma, ci sono per tutti, ma sul fronte del «che fare?», Epifani risponde che andrà ai prossimi incontri fissati con Confindustria, che ritiene opportuno prima «confrontarsi con Cisl e Uil sulle differenze di merito», ma che «se ci sarà accordo separato, a decidere è sempre la parte datoriale: e più che sulla firma dell'oggi, io mi interrogherei sul giorno dopo». Confindustria contesta le cifre diffuse dal sindacato: «Dal 2008 al 2011 - spiega Marcegaglia dopo un incontro con il leader del Pd Walter Veltroni - con il nostro modello il lavoratore guadagnerebbe 2.503 euro in più, pari a 766 euro reali al netto dell'inflazione». Inoltre, la presidente di Confindustria si dice disposta ad allargare il tavolo, tanto che - fa sapere - nella serata di ieri era in procinto di incontrare Abi, Ania, Confcommercio, Confagricoltura. Ribadisce che spera in un accordo con tutti, ma di «essere disposta a firmare con chi ci sta», e spiega che il 10 ottobre presenterà «un nuovo documento con aperture estremamente significative, nel rispetto delle altre controparti». Anche la Uil attacca la Cgil, affermando che «dà i numeri», mentre la Fim Cisl dimostra la serietà di aver studiato attentamente la proposta Confindustria: come la Cgil, afferma che il documento è «carente e inadeguato» sugli aumenti proposti, e chiede un allargamento del tavolo alle altre associazioni d'impresa e al governo. Il ministro Sacconi, infine, ha invitato la Cgil a «riflettere», dato che «senza accordo è a rischio il rinnovo della detassazione del salario di produttività».


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