Manifesto: deficit di laicità sempre più alto di scuola e Stato
Le recenti minacce di sanzioni da parte della ministra Gelmini nei confronti di quei dirigenti scolastici rei di non aver promosso il famoso «minuto di silenzio» previsto dalla circolare ministeriale per i caduti italiani in Afghanistan, ci induce a riflessioni di diversa natura, che tuttavia hanno
Antonia Sani
Le recenti minacce di sanzioni da parte della ministra Gelmini nei confronti di quei dirigenti scolastici rei di non aver promosso il famoso «minuto di silenzio» previsto dalla circolare ministeriale per i caduti italiani in Afghanistan, ci induce a riflessioni di diversa natura, che tuttavia hanno a comune denominatore il principio della laicità e il suo deficit nelle istituzioni e nella società.
Il «minuto di silenzio» è una consuetudine istituzionale. Normalmente la si ottempera senza pensarci troppo su. Non mancano d'altronde casi frequenti in cui questo atto esteriore è la testimonianza di una scelta consapevole. Nel silenzio si decide di ricordare una persona significativa e ci si sente a lei più uniti in un gruppo di amici che l'hanno stimata e amata.
Forse è bene ricordare che da quando esistono gli Organi collegiali della scuola, vale a dire da oltre trent'anni, le scuole hanno cessato di essere (almeno ufficialmente) l'appendice amorfa del Ministero della pubblica istrtuzione. Autonomia didattica e organizzativa, criteri, programmazione, termini un tempo ignoti, formano oggi il tessuto su cui nel rispetto dei principi costituzionali si esplica l'azione didattico-educativa nei singoli istituti.
Una circolare su questioni che esulano dalle funzioni specifiche del Ministro, inviata all'ultimo momento, non può oggi più pretendere di imporsi sui percorsi educativi in atto nei diversi ordini e gradi di scuole. Si dirà: «È sempre stato così». Ebbene, qualcuno ha avuto il coraggio di dimostrare che la scuola della Repubblica, e quindi della partecipazione democratica, può - anzi - deve non essere più così.
Alcuni dirigenti di scuola primaria hanno ampiamente motivato il loro gesto responsabile, che non è stato di imposizione sui docenti, ma scaturito da un confronto con essi; non dunque da un autoritarismo arrogante, piuttosto da un invito alla riflessione sull'opportunità di prescrivere alle classi un atto improvviso tutto esteriore senza un loro adeguato coinvolgimento.
Si è trattato di una modalità per ora inedita; ma, non sono proprio queste le modalità da adottare per fare della scuola non più il luogo della passività obbediente bensì della formazione critica delle giovani generazioni?
Il rifiuto di un tributo esclusivamente rituale ha a che fare con la ricerca di senso che dovrebbe distinguere ogni nostra azione. La stessa che spinse Joyce Lussu a stigmatizzare l'ossequio di Socrate a una legge «ingiusta» bevendo la cicuta invece di fuggire. «Avrebbe dovuto dimostrare ai giovani - diceva - che alle leggi ingiuste non si obbedisce».
Sono tanti e continui gli attacchi alla laicità della Repubblica che vengono vissuti con passività obbediente nel nome di «si è sempre fatto così !». C'è tuttavia chi dei «perché» se li pone. Perché, ad esempio, accade di assistere a funerali di Stato celebrati tutti e sempre in chiese e basiliche? Perché, se sono funerali di Stato? Dov'è lo spazio laico per tali celebrazioni che dovrebbe suggellare la laicità, principio supremo del nostro ordinamento statuale?