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Manifesto: Contro una scuola di regime

Marina Boscaino

23/01/2009
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il manifesto

Scuola statale, laicità, divieto del finanziamento da parte di Stato e governi locali alle scuole private, autogoverno sugli indirizzi culturali, didattici e pedagogici per una scuola realmente pluralista: erano questi gli elementi imprescindibili su cui si basava il documento scritto nell'ottobre del 1995 da un gruppo di intellettuali, in risposta a un altro documento, uscito qualche mese prima, «Idee per una buona scuola», primo firmatario Luigi Berlinguer.
Fu l'inizio del tentativo di contrastare la deriva mercantile e privatistica, che strizzava un occhio alla scuola confessionale e che avviava un processo di presunta «modernizzazione» della scuola: in realtà rincorsa di quelle che sembravano e si sono rivelate, purtroppo, le tendenze vincenti del cambiamento, il cui unico effetto è stato l'allontanamento progressivo della scuola dello Stato dalla funzione che la Costituzione le attribuisce.
In una concezione di modernità che - non coincidendo per sua stessa natura con positività, progresso e crescita - collimava in questo caso con mercato e privatizzazione. La scuola-azienda (quella delle «tre i» di morattiana memoria, quella che divarica i percorsi dei nati bene da quelli degli «sfigati», così come quella che si configura nel disegno di legge Aprea) non sono che le degenerazioni di un processo inaugurato allora; servito su un piatto d'argento da uno dei mille atti di abiura del passato che sono stati fatti. Là dove «passato» significava difesa intransigente di valori e principi irrinunciabili.
È nata così l'associazione «Per la scuola della Repubblica», un raro esempio di sobrietà in un paese come il nostro, sempre più ostaggio di nani e ballerine, della cultura dell'approssimazione, dell'inciucio, del lobbysmo, della difesa di postazioni di più o meno reale potere. Donne e uomini di sinistra, ma provenienti da esperienze diverse, hanno lavorato e studiato per continuare a presidiare uno spazio di democrazia che - svincolato da pregiudizi e da condizioni di opportunismo - ha garantito e continua a garantire vigilanza e libera riflessione sul ruolo che la scuola dovrebbe avere nel nostro paese.
Il 17 gennaio a Roma «Per la scuola della Repubblica» ha organizzato il convegno «Contro la scuola di regime, per la scuola della Costituzione»: una carrellata sulle maggiori ferite inferte dall'attuale governo (ma non solo) all'idea di scuola licenziata dalla Carta. Un significativo momento di confronto in cui la politica è stata chiamata a fornire delle risposte ad alcune domande sollevate dalle relazioni e dagli interventi previsti. Il convegno, introdotto e coordinato da Antonia Sani, ha illustrato vari argomenti (le linee anticostituzionali delle politiche governative, il problema del finanziamento pubblico alle scuole paritarie private, il disegno di legge Aprea, obbligo scolastico e dispersione) e dato voce ai coordinamenti anti-Gelmini, a rappresentanti dell'Onda, del mondo politico e sindacale, come della società civile. Configurando, nella lucida relazione di Corrado Mauceri, la cornice ragionata che ha tenuto al proprio interno tutti gli intenventi seguenti: la politica scolastica di Berlusconi non è solo tagli, ma destrutturazione e decostituzionalizzazione della scuola statale. Su tale tema sarebbe opportuno che si interrogasse non solo il mondo della scuola democratica, ma tutta la società civile. Invocare la Costituzione rappresenta una sorta di retorico slogan bipartisan. Che, come tutte le argomentazioni bipartisan applicate a matrici etico-culturali - che spiegano una specifica valenza politica - si stempera fisiologicamente e perde la propria significatività. Invece occorre stabilire un accordo sulla lettura della Costituzione, perché l'indebolimento progressivo che il continuo e abusato ricorso ne provoca - consentendo la possibilità di incursioni continue tra il legittimo e l'illegittimo - rappresenta la più grave insidia alla democrazia.
La scuola della Costituzione è una scuola per tutti e di tutti, che fa direttamente riferimento al secondo comma dell'art. 3: «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La scuola dello Stato rappresenta il primo strumento di questa rimozione, avendo come compito fondamentale di licenziare cittadini consapevoli. La scuola, poi, è un organo costituzionale dello Stato, non affidabile al privato: occorre dunque contrastare il principio di sussidiarietà e il sistema integrato. Un terzo elemento per configurare la scuola della Costituzione è la difesa della laicità dell'insegnamento: «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento». Tale principio individua uno stato di libertà del personale scolastico non dalle regole ma nelle regole, con conseguente autonomia dell'organizzazione della scuola dagli esecutivi per quanto riguarda gli indirizzi culturali; mentre - come dimostrano i regolamenti Gelmini - i governi hanno considerato questo un ambito di intervento, spesso spregiudicato. La Costituzione detta le norme generali in materia di istruzione: intervenire sulle linee generali è compito esclusivo del Parlamento; ciò nonostante il governo continua a procedere a colpi di decreti legge e di regolamenti, appropriandosene definitivamente.
Ultimo punto è l'autosufficienza della scuola non statale: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». È il caso di ricordare la lotta che gli ultimi governi hanno ingaggiato per finanziare la scuola privata, dopo la sciagurata approvazione della legge di parità. Da quanti sono realmente condivisi questi principi? È questa la domanda chiave, per avviare una riflessione condivisa.
Una parte della sinistra dal 1995 ne ha fornito interpretazioni fantasiose e imbarazzanti. Walter Tocci, del Pd, ha risposto, a chi gli segnalava l'inconsistenza della cosiddetta opposizione sui temi della scuola - che si è sostanziata in una richiesta di aumento del contributo pubblico alle scuole non statali più alto di quello previsto dal governo e nella demagogica proposta di un referendum abrogativo della legge 133, precluso esplicitamente dall'art. 75 della Costituzione - che è necessario ripensare autocriticamente l'autonomia e ha raccolto la proposta di un coordinamento per un impegno sui principi realmente condivisi di tutti i soggetti del mondo della scuola, politici e sindacali.


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