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Manifesto: Chiude l'Irbm di Pomezia È fuga di cervelli all'estero

I ricercatori: «Intervengano le istituzioni»

19/07/2009
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il manifesto

Sara Farolfi
L'istituto di ricerche biomolecolari della multinazionale farmaceutica Merck è un vivo esempio di fuga in massa di «cervelli» all'estero. Il colosso statunitense si fonde con un altro big del farmaco, Schering Plough, ne nascerà il secondo gruppo farmaceutico su scala mondiale e, tra i costi dell'operazione, c'è il licenziamento di 7 mila dipendenti in tutto il mondo e la chiusura di svariati siti. Tra i quali il centro di ricerche Irbm di Pomezia (Roma), che chiuderà i battenti il 30 settembre. Ma loro, circa 200 ricercatori (già ridotti a 150 con la fuga all'estero innescata dal clima d'incertezza), età media 35 anni, provenienti dai migliori laboratori di ricerca del mondo, non ci stanno: vogliono continuare a fare ricerca e chiedono l'intervento della politica, nazionale e locale. Anche perchè nei suoi anni di vita l'Irbm - nato nel 1990 come joint venture tra Merck e l'italiana Sigma Tau e dal 2000 di proprietà della sola Merck - ha beneficiato di fondi pubblici per 85 milioni di euro.
Centro di ricerche di eccellenza, è all'Irbm che è stato scoperto l'«Isentress», un farmaco che sta rivoluzionando la terapia dell'Aids e che recentemente ha vinto quello che può considerarsi il «Nobel» del farmaco. Ma oltre alla ricerca applicata (7 candidati farmaci e vaccini sono allo studio) l'Irbm ha contribuito in questi anni all'avanzamento della ricerca di base con decine di pubblicazioni nelle più prestigiose riviste del mondo, e anche alla formazione di centinaia di studenti e dottorandi con le vicine università di Roma e non solo.
La doccia fredda è arrivata a ottobre scorso, quando la multinazionale americana ha comunicato l'intenzione di chiudere. La promessa iniziale di un aiuto a mantenere vivo il sito di ricerca - mediante la permanenza di alcune commesse per qualche anno - è scemata nel giro di breve. Fino agli ultimi atti di inizio luglio, quando ai ricercatori è stato impedito l'accesso ai laboratori - sotto la minaccia di «gravi conseguenze personali» - sancendo così la fine dell'attività di ricerca.
«Abbiamo dimostrato di essere competitivi con le migliori aziende farmaceutiche del mondo e siamo convinti di poterlo fare anche in futuro - dicono - Purtroppo la nostra determinazione è stata frustrata a 360 gradi». Se in otto mesi nessun acquirente si è fatto vivo, è perchè nessuno è disposto ad accollarsi un laboratorio in cui solo 'accendere la luce' costa 5 milioni di euro all'anno. Partendo da zero perdipiù, perchè la multinazionale statunitense, «dopo avere usufruito di ingenti contributi dallo stato italiano», se ne va portando via brevetti generati in Italia che frutteranno miliardi di dollari. Compresi quelli di cui il colosso non ha alcuna intenzione di servirsi, per mancanza di risorse: «Stiamo facendo esperimenti, ci sono due brevetti sui quali sarebbe facile ottenere finanziamenti - spiegano i ricercatori - E invece niente».
I ricercatori chiedono alle istituzioni politiche di fare pressione affinchè Merck ceda quei brevetti generati in Italia e di cui non si servirà. Chiedono alla multinazionale commesse almeno per garantire la fase iniziale di start up. E, alla regione, di rispettare l'impegno preso di un finanziamento ponte per consentire l'avvio delle attività. Ma il tempo stringe: «Più andiamo avanti e più rischiamo di continuare a perdere colleghi altamente qualificati, e più diminuiscono le possibilità di rinascita dell'istituto». Si muoverà la politica, «o dovremo assistere un altro capitolo di deindustrializzazione del settore farmaceutico d'avanguardia in questo paese»?


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