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Manifesto: Cancellare la legge 133. E nulla di meno

Può sembrare che l'opposizione sociale emersa nelle scorse settimane abbia attenuato la furia regressiva scatenata sulla scuola italiana.

09/11/2008
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il manifesto

Gianni Ferrara
Può sembrare che l'opposizione sociale emersa nelle scorse settimane abbia attenuato la furia regressiva scatenata sulla scuola italiana. Alcuni segnali di parte ministeriale potrebbero apparire come recettivi delle domande del movimento. Massima deve essere quindi la nostra diffidenza. Abbandonata la iattanza dei mezzi, resta intatta la scelleratezza inaudita dell'intento governativo. A enunciarlo e avviarlo è la legge n. 133 dell'agosto scorso, esemplare per efficacia distruttiva accompagnata da furbizia truffaldina. Con le sue disposizioni intrufola una schiacciante compressione del sistema universitario in una legge finanziaria, per sottrarre l'una e l'altra al rischio referendario. La compressione è nella denutrizione programmata delle istituzioni universitarie (tagli progressivi, blocco del turn-over) e la trasformazione delle università (per ora solo facoltativa) in fondazioni private. Siamo di fronte a un progetto univoco di dismissione da parte dello stato di un servizio pubblico essenziale. Siamo di fronte a una legge che configura una enorme e clamorosa eversione dell'ordinamento.
L'articolo 33 della Costituzione affida alla Repubblica il compito, quindi l'obbligo di «istituire scuole statali di ogni ordine e grado». Non scuole private, quindi, ma statali e per tutte le ragioni che militano a favore di tale tipo di scuola, dalla garanzia della libertà della scienza e dell'insegnamento, a quello dell'apertura «a tutti» di ogni tipo di scuola, di tutte le scuole. Princìpi ambedue costituzionalmente affermati, il primo nello stesso articolo, il secondo in quello successivo. Quello che attribuisce ai «capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» e insiste nel richiedere la massima garanzia per l'effettività di tale diritto. Come si pone la trasformazione delle Università in fondazioni di diritto privato a fronte del significato univoco di queste norme? La risposta immediata, obbligata, irrefutabile è una sola. Come aggiramento, neutralizzazione, violazione.
È esattamente quello che si mira a perpetrare con la legge 133 il cui articolo 16 (ai commi 2 e 14) stabilisce che, una volta istituite, le fondazioni «perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica», la natura cioè di fondazioni di diritto privato, e che «le disposizioni vigenti per le Università si applicheranno solo in quanto compatibili con la natura privatistica delle fondazioni stesse». Che altro si vuole per giudicare tali disposizioni come oppositive alla lettera e allo spirito delle norme costituzionali in materia? Si scagliano insieme contro la ricerca, l'istruzione, la cultura, l'eguaglianza, lo sviluppo, la civiltà stessa del nostro Paese. Solo l'abrogazione netta ed esplicita di tale articolo e del piano di denutrizione delle Università, cioè dell'attacco distruttivo predisposto in agosto, può consentire un confronto per una reale riforma dell'Università e della scuola italiana. Non meno.


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