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Manifesto: Basta lauree facili

Dopo un'inchiesta di Report sulle convenzioni universitarie, il ministro Mussi limita gli «sconti» sui crediti. Anche per i giornalisti

03/06/2006
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il manifesto

Giorgio Salvetti
«Laureare l'esperienza. Con la riforma le università possono riconoscere l'esperienza professionale come credito formativo utile per conseguire la laurea. Ragionieri, geometri, bancari, promotori, dirigenti e professionisti potreste essere molto vicini alla laurea!». E' la pubblicità radiofonica del mercato delle convenzioni tra alcuni atenei ed enti vari denunciato da Giovanna Boursier nell'inchiesta di Report di domenica scorsa. In pratica significa, ad esempio, che un impiegato del ministero degli interni o dell'Inps può mettersi la laurea in tasca facendo pochissimi esami e con un forte sconto sulle rette, magari presso un'università privata o una piccola università che in cambio moltiplica iscritti e guadagni.
L'inchiesta ha fatto molto rumore e giovedì il neoministro Fabio Mussi ha cercato di correre ai ripari. Il titolare del dicastero dell'Università ha emanato un atto d'indirizzo che indica un tetto massimo di 60 crediti formativi abbonati ai convenzionati (invece che due anni di sconto su tre, solo un anno di abbuono, comunque non poco), e ha assicurato «tutta la vigilanza e valutazione che spetta al ministero» sul giochino delle convenzioni. Come dire che l'autonomia degli atenei è sacrosanta, ma con qualche doveroso limite.
Significa tentare di impedire, per esempio all'Università San Pio V di Roma, di passare da 2000 a 3000 iscritti regalando 113 crediti su 180 ai dipendenti del ministero degli interni facendo pagare una retta scontata di 1800 euro al posto di 3900. Basta fare quattro conti per capire che si tratta di un giro di milioni di euro. E non è solo questione di soldi, perché avere tanti iscritti è uno dei più importanti criteri per essere riconosciuti e finanziati dallo Stato. In questo modo si genera una concorrenza verso l'abisso, gli atenei sono spinti a gareggiare a chi regala di più. Ma la laurea alla fine ha il medesimo valore.
Il sistema delle regalie per convenzione, oltre ad essere profondamente ingiusto, apre uno spiraglio preoccupante sulla realtà universitaria italiana. Da anni lo Stato riduce i finanziamenti e, per contro, incoraggia la competizione tra atenei in regime di semi-libero mercato. La «innovazione» delle convenzione è stata introdotta dalla riforma Berlinguer e peggiorata da Letizia Moratti nella finanziaria del 2001. Ora il nuovo ministro tenta di correggere il tiro ma non rinnega il principio inserito nella riforma Berlinguer, che riconosce valore formativo a esperienze di lavoro «come avviene all'estero»; dove però, spesso, non c'è il valore legale del titolo di studio e ci sono altri controlli. Le lauree inglesi non sono tutte uguali, valgono di più o di meno a seconda del valore dell'università che le rilascia, che non ha interesse a dequalificarle, e contano relativamente sul mercato del lavoro e non in modo vincolante, come accade da noi, soprattutto nei concorsi pubblici. Alba Sasso, deputato dell'Ulivo, difende il valore legale del titolo di studio: «E' l'unica difesa contro il sistema del figlio di papà che può permettersi le università migliori». Eppure deve ammettere che «in Italia la società è sempre più immobile, di casta. Capita sempre più spesso che le professioni migliori si tramandino in famiglia». Le convenzioni, in questo senso, favoriscono anche un accordo perverso tra «caste» - impiegati ministeriali, forze dell'ordine, ordini professionali, compreso l'ordine dei giornalisti - e alcuni atenei, spesso privati. Non solo l'utente del servizio pubblico, il cittadino, diventa un cliente e la formazione diventa una merce. Ma vengono favorite situazioni clientelari a scapito della maggior parte delle università.


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