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Manifesto: Baby gang, Blair attacca la Rete

Attacco del ministro britannico dell'istruzione ai siti come YouTube che «permettono ai bulli di umiliare studenti e professori». Ma i primi a non essere d'accordo sono i docenti: «Le vere cause della violenza sono altre»

11/04/2007
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il manifesto

Orsola Casagrande
Dopo le nuove misure repressive ecco l'attacco al web e i nuovi poteri da poliziotti assegnati ai professori. Il governo Blair ha deciso di prendere di petto il problema della violenza e del bullismo tra i giovani (sei morti tra i 15 e i 16 anni in poco più di due mesi). Ma se queste iniziative rivelano che il governo inglese riconosce finalmente il problema (che non è certo nato due mesi fa) e comincia ad agire, le soluzioni fin qui suggerite hanno un limite di fondo: non vanno assolutamente a intaccare le cause di questa violenza. Al congresso del sindacato degli insegnanti (Nasuwt) in corso in questi giorni a Belfast un professore ha ben sintetizzato lo stato delle cose. «Se si confisca il telefonino ad uno studente violento, questo andrà a casa o all'internet cafè ed utilizzerà il computer per la sua campagna di odio via mail. La verità - ha aggiunto il docente - è che i ragazzi felici non hanno necessità di fare i bulli, o meditare vendette contro i loro compagni». Un intervento in netto contrasto con quello del ministro all'istruzione Alan Johnson, che invece ha puntato tutto sulla necessità di «essere duri con i giganti del web come YouTube che devono prendere iniziative concrete per impedire ai cyber-bulli di usare i loro siti per umiliare studenti e professori». Per il ministro questi siti hanno «il dovere morale di tagliare quei video offensivi dove la gente viene attaccata, insultata o presa in giro». Al congresso molti insegnanti hanno confermato che i prepensionamenti sono in aumento. E tra le ragioni indicano proprio il bullismo. Una indagine commissionata dai sindacati rivela che il 45% degli insegnanti è stato aggredito, verbalmente, via email. Mentre il 15% ha ricevuto minacce via sms, e il 10% si è visto insultato o sbeffeggiato sul web. Gli insulti vanno, rivela la ricerca, da vignette che mettono in ridicolo l'insegnante, a veri e propri insulti che prendono di mira la vita privata o il metodo di insegnamento o ancora l'atteggiamento dei professori. Per molti docenti, l'hanno detto loro stessi al congresso, offese e umiliazioni hanno avuto ripercussioni sulla psiche. Il ministro Johnson ha cercato di rassicurare i docenti facendo l'elenco delle nuove misure e dei nuovi poteri che le scuole avranno per contrastare il bullismo. I professori hanno ora il potere di confiscare agli alunni i telefonini o gli MP3. Ma, hanno detto alcuni delegati, il problema è che «se è vero che le nuove tecnologie offrono ai più violenti un palcoscenico diverso per le loro performance di malizia e cattiveria, è altrettanto vero che viviamo in una società in cui umiliare gli altri è qualcosa che viene incoraggiato». Così si sono sprecati i riferimenti ai programmi televisivi e cinematografici. Da Borat agli insulti razzisti alla protagonista indiana del Grande Fratello, Shilpa Shetti, tutto è finito nel tritacarne. Con il risultato che il rischio è quello di perdere di vista il cuore del problema. Nessuno per esempio si è preoccupato di ascoltare le interviste realizzate da diverse charities a «ex bulli», o ex membri di questa o quella babygang. Eppure queste rivelano uno spaccato che certo offrirebbe al governo maggiori informazioni per decidere sugli strumenti da utilizzare per contrastare quello che è indubbiamente un problema, la violenza tra i giovani.
Ogni giorno, secondo le statistiche dell'associazione Beatbullying, 55mila studenti non vanno a scuola per paura di essere vittime di atti di bullismo. Si tratta di un terzo di tutti gli studenti che quotidianamente marinano la scuola. In un questionario compilato da circa 2600 studenti, qualche mese fa, risulta che la metà di quelli che hanno subito minacce, violenze o insulti hanno marinato la scuola per evitare di incontrare il compagno o la compagna responsabile di quelle minacce. Secondo la direttrice di Beatbullying, Emma-Jane Cross, il fenomeno riguarda «tutte le classi, i generi o le appartenenze etniche. La violenza - sostiene - si esprime in modi diversi a seconda delle varie comunità e questo impone risposte diverse al problema».


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