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Manifesto-A Milano aprono gli asili fai da te

A Milano aprono gli asili fai da te La riforma berluscon-morattiana della scuola ha i suoi effetti anche sui nidi Per ora solo soltanto nove, ma anche la giunta di Albertini sperimenta i nidi condom...

04/09/2003
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il manifesto

A Milano aprono gli asili fai da te
La riforma berluscon-morattiana della scuola ha i suoi effetti anche sui nidi
Per ora solo soltanto nove, ma anche la giunta di Albertini sperimenta i nidi condominiali. Sono gestiti privatamente ma ottengono 250 euro di finanziamenti per ogni bambino. Gli standard lasciano a desiderare, ma per chi è rimasto fuori dalla struttura pubblica "sono meglio di niente"
LUCA FAZIO
MILANO
Vuoi dire che la giunta Albertini l'ha fatta giusta? Se siete genitori, e non hanno preso vostro figlio all'asilo nido, i nonni non sono disponibili, non potete permettervi la baby sitter tutto il giorno (6-8 euro all'ora), e al nido privato vi hanno chiesto 645 euro al mese (più 200 di iscrizione annuale), allora potreste anche pensare che questa volta è andata proprio così. E sareste in buona compagnia, perché anche quest'anno a Milano ci sono 2500 famiglie che non sanno dove mettere i più piccoli (il comune dice 1950 ma nel computo inserisce anche 500 bambini il cui problema pare verrà risolto entro l'anno). E dunque non c'è genitore che interrogato sul nido condominiale non risponda così: "E cosa dovrei fare? Certo che ce lo manderei". Il primo incontestabile argomento in difesa del nido condominiale, al debutto in questi giorni, è quasi disarmante: meglio di niente. La giunta di centrodestra, come ha spiegato l'assessore all'educazione Bruno Simini, ha selezionato una lista di 70 educatrici dando la possibilità a singoli, associazioni e famiglie di assumerne una per creare tra le mura dell'appartamento una sorta di micro nido per bambini da 15 a 36 mesi. Il comune finanzierà parte della retta con un contributo di 250 euro per bambino. La capacità di accoglienza del nido varierà a seconda dello spazio a disposizione: da un minimo di tre fino a sei bambini. Orari e rette verranno stabiliti dai titolari della nuova impresa e questa discrezionalità potrebbe essere di ostacolo per quei genitori che hanno bisogno di un servizio che funzioni al mattino presto e per chi nonostante il contributo non può spendere 600 euro al mese. "Si tratta di una sorta di società privata tra genitori che assumono un'educatrice - dice Egidio Spelta, del settore servizi per l'infanzia di Palazzo Marino - dunque decidono tutto loro autonomamente, noi verifichiamo solo il progetto didattico".

L'idea di una piccola struttura educativa familiare, sulla scia dei paesi nordici, esiste da sempre in Alto Adige, si chiama Tagesmutten ed è stata "copiata" dai paesi del nord Europa. Solo recentemente, dopo l'approvazione della legge Turco per l'infanzia (285), poi recepita da analoghe leggi regionali, strutture simili hanno aperto in Emilia Romagna e in alcuni comuni dell'hinterland milanese. Ma a Milano di quanti bambini stiamo parlando? Per ora in città ne sono partiti 9 per un totale di 40 bambini, poco per parlare di alternativa a un servizio che ormai i milanesi e non percepiscono come imprescindibile, come è già successo per le scuole materne negli anni `60.

E' difficile sparare a zero contro un'iniziativa cha piace a destra e a sinistra e che di fatto potrebbe risolvere un problema a molti genitori senza alternative. Ma questo è il punto. A un'esigenza percepita come un diritto si cerca di risponde in qualche modo, ma senza costruire asili nido. E per qualcuno si tratta di risposte "col fiato corto". Marilena Adamo, vicepresidente ds al consiglio comunale, si occupa di educazione da sempre e scuote la testa davanti agli accenti lirici che descrivono le prime case milanesi che si sono aperte ai marmocchi. A lei l'asilo condominiale non piace. "Questo tipo di esperienza - dice - potrebbe funzionare nei piccoli comuni dove c'è un buon controllo del territorio e dove è più facile sostenere l'autorganizzazione delle famiglie". Perché non a Milano? "Il rischio - spiega - è che si risolva in una sorta di babysitteraggio assistito, e allora non si capisce perché i contributi comunali, e 250 euro non sono pochi, non debbano andare a tutte le famiglie che sono costrette a rivolgersi alla baby sitter o al nido privato perché il comune non assicura il servizio". Una esperienza poco citata ma che ha dato buoni frutti è quella di Vimercate (Mi) dove nel 1998 è stato creato il "nido in famiglia"; il comune ha selezionato alcune donne di mezza età disposte a fare la "tata" in casa per 2 o 3 bambini, e oggi 6 donne ne ospitano 12. Secondo Marisa Vergani, assessore alle politiche sociali e pari opportunità di Vimercate, si tratta di un approccio diverso da quello del comune di Milano. "La nostra ammistrazione - spiega - controlla direttamente queste attività. Il comune mantiene un rapporto diretto e costante con i nidi in famiglia: c'è un coordinatore che gestisce il rapporto con le tate, le quali vengono coinvolte e partecipano anche alle diverse attività ludiche organizzate dai nidi comunali; limitarsi a dare un contributo senza controllare mi sembra un po' come lavarsene le mani". Sul controllo delle attività insiste Marilena Adamo: "Il comune, facendoti accedere al servizio come un'alternativa al nido, di fatto crea una situazione ambigua perché dà forma a un'iniziativa totalmente privata da cui l'amministrazione si tira fuori anche per quanto riguarda i controlli. Per aprire un nido pubblico, o privato, bisogna garantire standard elevatissimi, questa invece è un'iniziativa un po' improvvisata. Quando si parla di bambini bisogna sempre entrare nel merito". Andrea De Lotto, del coordinamento Chiedo Asilo (www.chiedoasilo.it), lo fa ponendo alcune domande. Quando l'appartamento apre al mattino sarà davvero predisposto per ospitare i bambini? Il bagno è stato pulito come si deve o è tale e quale la sera prima? Cosa succede se si ammala il marito della tata? E se si ammala la tata? Quando trova il tempo di cucinare una persona con 4 o 5 bambini? Li porta lei al parco? E poi, siamo sicuri che essere nel contempo maestra e magari madre di un bimbo inserito in un gruppo non comporti una riflessione più profonda sul piano dell'affettività? De Lotto conclude così: "Se l'idea nascesse informalmente da un gruppo di famiglie che si conoscono e si accordano tra loro, bene. Ma è una situazione che non va formalizzata come alternativa al nido: non c'è paragone tra ciò che ti offre un appartamento e una struttura organizzata come un nido". Con l'aria che tira, pretendere che l'asilo nido sia un diritto potrebbe sembrare una cosa un po' naif. Eppure costruirne uno costerebbe più o meno 1 milione di euro: significa che con 50 milioni di euro a Milano il problema sarebbe risolto. Troppo? E' meno della metà di quanto Palazzo Marino ha incassato con le multe nel 2002. Certo, una volta in classe il comune dovrebbe investire circa 750 euro al mese per ogni bambino, una fastidiosa voce di bilancio che è meglio aggirare stimolando la capacità imprenditoriale di poche famiglie. Meglio di niente.


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