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Ma la scuola eccellente deve essere diritto di tutti

ancora una volta si deve dire che deve esistere la scuola dell’equità, anche questa scritta nella Costituzione

06/05/2014
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la Repubblica

Maria Pia Veladiano

AVOLER  mettere in fila i dati si fa un po’ fatica a capire. Da un lato la scuola pubblica italiana è migliore di come la disegnano tv, giornali e politici.

L’ultimo rapporto Eurispes dice che gode della fiducia del 53% degli italiani (i partiti sono al 6,5%). Poi se si disarticolano i dati dell’ultima indagine internazionale sugli apprendimenti, l’OCSE-PISA, si vede che sia nelle conoscenze matematiche, che nella comprensione dei testi che nelle conoscenze scientifiche le scuole private hanno risultati enormemente inferiori a quelli della scuola pubblica, e fra le private le peggiori sono le paritarie. Chi sceglie la scuola privata per il proprio figlio spesso lo fa per ragioni identitarie, di protezione dai pericoli di scuole pubbliche sovraffollate, o troppo etnicamente miste, o frullate dal precariato dei docenti. Qui si parla invece di scuole internazionali, Scuola francese, Scuola inglese, Scuola tedesca, private, però private in modo particolarissimo, perché l’offerta formativa è presentata in lingua straniera, da insegnanti madrelingua e, soprattutto, i metodi, i sussidi didattici, in gran parte anche i programmi, sono importati da Paesi che sembrano promettere una diversa qualità di scuola. Se l’apprendimento serio della lingua straniera fa la differenza, c’è da riconoscere che di sicuro la nostra scuola pubblica qui è in ritardo. Ma non sembra solo questo. Ad ascoltarli i genitori che scelgono queste scuole per i loro figli, spesso fin dalla scuola d’infanzia, pensano già a un futuro fuori dall’Italia, di studio e di lavoro.

Sono scuole che promettono l’eccellenza, implicitamente o nell’immaginario dei genitori che le scelgono, ma negli istituti universitari di eccellenza che pure abbiamo, come la Normale, il Sant’Anna di Pisa o la Scuola Galileiana
di Padova si entra se c’è il merito, in queste scuole si entra se si hanno i soldi. Anche se si avvererà (si avvererà?), questa eccellenza coltivata fin dall’infanzia sarà di pochi, pochissimi. Non c’è male in nulla di tutto questo, per sé. Non c’è male nel desiderare una buona, ottima, formazione, nel volersi realizzare dove il proprio talento trova più riconoscimento e spazio. Il mondo è uno. Solo che questo dovrebbe essere qualcosa di meravigliosamente proprio e personale, desiderio scoperto confrontando il proprio talento con quello degli altri, bravi, meno bravi, diversi di ogni tipo. E dovrebbe essere per tutti.
Coltivare separatezze fin dalla scuola d’infanzia sembra essere l’ennesimo triste baluardo contro la sfiducia, tutta adulta, verso il futuro. Programmare la vita dei propri figli attraverso una serie spesso strabordante (lingua, sport, musica, concorsi) di condizioni favorevoli è rassicurante per noi adulti spaventati.
E allora? E allora queste scuole devono esistere, ben garantite dalla libertà scritta nella nostra Costituzione, ma ancora una volta si deve dire che deve esistere la scuola dell’equità, anche questa scritta nella Costituzione. La scuola pubblica può offrire le lingue tanto quanto le internazionali, lo fa già in Trentino ad esempio, dove il 25% (in aumento di anno in anno) delle classi di primaria hanno 7 ore di CLIL settimanale, cioè di insegnamento in lingua straniera, e dove esistono esperienze di scuola bilingue, 20 ore di CLIL la settimana. Si tratta di scuola pubblica, offerta a tutti i bambini. I problemi della scuola pubblica non dovrebbero essere il motivo per cedere alla sfiducia e coltivare una separatezza ambigua. E quando si sta a scuola e si sa quel che succede nelle aule si vede che i ragazzi lo sanno bene immaginare da soli il loro futuro: studiare le lingue, coltivare la terra, scrivere, suonare, dipingere. E partire certo, anche partire.


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