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Ma gli italiani sono adulti (in)competenti?

Una crisi non solo economica

14/07/2014
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Insegnare

di Marisa Cavalli

Ancora una inchiesta internazionale e ancora una proposta di dati per  cercare di comprendere alcune importanti sfide educative del nostro Paese.

Si tratta dell’inchiesta sulle competenze degli adulti svolta dall’OCSE nel quadro del suo Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC, 2008-2013), che fa seguito ad altre due ricerche internazionali con i dati delle quali vengono stabiliti paragoni: Internationsl Adult Literacy (IALS-OCSE, 1994-1998) e Adult Literacy and Lifeskills Survey (ALL-OCSE 2003-2008).

Complementare della più nota ricerca PISA (sugli studenti quindicenni), questa indagine ha riguardato, nella fase 2008-2013, 24 paesi [1] e ne riguarderà altri nella seconda fase 2012-2016, per un totale di 33. Ha per oggetto di indagine le “facoltà cognitive e competenze nel mondo del lavoro che sono giudicate necessarie affinché gli individui evolvano con successo nella società e che sono essenziali per la prosperità economica” (sito OCSE, ns traduzione).

La sua finalità è aiutare i paesi a “meglio comprendere come i sistemi educativi e di formazione permettono di far evolvere queste competenze”. Destinatari dei risultati sono gli educatori, i politici e gli economisti del lavoro in vista dell’elaborazione di politiche economiche, educative e sociali in grado di promuovere il miglioramento delle competenze degli adulti.

Dati importanti, in realtà, per la società nel suo complesso, aggiungeremmo noi, poiché la loro problematicità può in parte spiegare la situazione italiana attuale di crisi, non solo economica, ma politica e culturale. Essi ci mostrano soprattutto l’immane lavoro che resta ancora da fare e le situazioni di urgenza cui far fronte.

I dati rilevati

I dati sono stati raccolti in Italia nel periodo agosto 2011 - marzo 2012 su un campione rappresentativo di 5000 persone tra i 16 e i 65 anni.

L’indagine, condotta dall’ISFOL su incarico e sotto la responsabilità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, prevedeva [2] :

  • test di tipo cognitivo sulle competenze-chiave seguenti:
    • alfabetizzazione di base o funzionale (literacy) (d’ora in poi AF), così definita “l’interesse, l’attitudine e l’abilità degli individui a utilizzare in modo appropriato gli strumenti socio-culturali, tra cui la tecnologia digitale e gli strumenti di comunicazione per accedere a, gestire, integrare e valutare informazioni, costruire nuove conoscenze e comunicare con gli altri, al fine di partecipare più efficacemente alla vita sociale”;
    • alfabetizzazione numerica e matematico-scientifica (numeracy) (d’ora in poi AN), intesa come “l’abilità di accedere a, utilizzare, interpretare e comunicare informazioni e idee matematiche, per affrontare e gestire problemi di natura matematica nelle diverse situazioni della vita adulta”.
  • due moduli opzionali:
    • capacità di risoluzione dei problemi (problem solving) “in ambienti ricchi di tecnologia”, vale a dire “l’utilizzo delle tecnologia digitale, di tool e di reti di comunicazione e valutare le informazioni, comunicare con gli altri e svolgere compiti pratici” (modulo cui l’Italia non ha aderito);
    • le abilità di base per la comprensione della lettura, in modo da fornire informazioni più dettagliate sugli adulti con bassa alfabetizzazione e per approfondire lo studio dell’illetteratismo (modulo cui l’Italia ha preso parte).
  • questionario per la raccolta di informazioni di contesto e indicatori sulle competenze messe in opera nelle attività lavorative e nella vita quotidiana (alfabetizzazione di base, numerica, nuove tecnologie e competenze quali “la discrezionalità, l’apprendimento al lavoro, la capacità di influenzare gli altri, la cooperazione, l’organizzazione del proprio tempo, la resistenza fisica e la destrezza manuale”).

I campi indagati

L’inchiesta ha prodotto dati molto ricchi e davvero interessanti. Si intende qui sollecitare quanti hanno a cuore le sorti della scuola italiana e dell’Italia in genere ad andare a leggere i diversi rapporti elencati in sitografia e a approfondire le tematiche che li interessano. Indichiamo rapidamente i grandi campi indagati per mettere i nostri lettori in appetito, avvertendoli che i sotto-menu sono altrettanto appetibili:

  • Le competenze e le caratteristiche socio-demografiche
  • La partecipazione degli adulti alle attività di istruzione e formazione e le competenze
  • Le competenze dei lavoratori italiani
  • Il capitale umano ed il premio salariale
  • Competenze e benessere
  • Abilità informatiche minime nella popolazione italiana nell’indagine PIAAC
  • Studi sulle competenze della popolazione adulta

Indicheremo, in forma succinta, solo alcuni dati dell’indagine. Prima di tutto, quelli relativi all’alfabetizzazione funzionale  e all’alfabetizzazione numerica [3], premettendo che sono stati individuati sei livelli di competenza (= intervalli di punteggio) su una scala da 0 a 500 :

  • inferiore a livello 1 (0-175): modestissima competenza, al limite dell’analfabetismo;
  • livello 1 (176-225);
  • livello 2 (226-275);
  • livello 3 (276-325): considerato come livello “minimo indispensabile per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali”;
  • livello 4 (326-375) e  livello 5 (376-500): piena padronanza del campo di competenza.

Un dato allarmante

Questi sono i risultati conseguiti dagli adulti italiani:

Livello 0 Livello 1 Livello 2 Livello 3 Livello 4 Livello 5
Alf. Funz. (AF) 5,6%
(3,4%)
22,3%
(12,3%)
42,3%
(33,7%)
26,5%
(38,7%)
3,3%
(11,3%)
#
(0,7%)
Alf. Num. (AN) 8,1%
(5,5%)
23,8%
(14,2%)
39,5%
(33,4%)
24,5%
(34,8%)
4,3%
(11,5%)
#
(1,1%)


(tra parentesi) = media  OCSE  -   # = prossimo allo zero

Rispetto alla loro distribuzione geografica, i risultati migliori si ottengono al Centro e nel Nord-Est; i peggiori nel Sud e nelle isole, sia in AF che in AN. Sempre, anche nei casi migliori, i risultati globali permangono negativi.  
La classifica dei 24 paesi pone l’Italia all’ultimo posto per l’AF (250 ; 293 media OSCE) e al penultimo (247, OSCE 269) dopo la Spagna (per un solo punto) per l’alfabetizzazione numerica con “in totale il 70% della popolazione italiana […] al di sotto del Livello 3, il livello di competenze considerate necessarie per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo”.

Ciò significa che il 70 % della popolazione italiana non è in grado di affrontare i testi e di eseguire operazioni di tipo linguistico come illustrato di seguito per l’AF:

I testi a questo livello sono spesso fitti o lunghi e includono pagine multiple di testo continuo, discontinuo o misto. La comprensione di testi e strutture retoriche diventa importante per poter completare correttamente le prove, soprattutto la navigazione in testi digitali complessi. Le prove richiedono all’intervistato di identificare, interpretare o valutare uno o più parti di informazioni e spesso richiedono livelli di inferenze variabili. Molte prove richiedono all’intervistato di costruire significati basandosi su ampie porzioni di testo o eseguire operazioni in più fasi per identificare e formulare risposte. Spesso le prove richiedono inoltre all’intervistato di ignorare contenuti irrilevanti o non appropriati per rispondere con precisione. Spesso sono presenti informazioni contrastanti, ma in quantità inferiori rispetto alle informazioni corrette.

Per quanto riguarda l’AN, quel 70% di Italiani che non raggiunge il livello 3 si trova in difficoltà nelle seguenti situazioni:

Le prove a questo livello richiedono all’intervistato di comprendere informazioni matematiche che possono essere meno esplicite, relative a contesti non sempre familiari e rappresentati in modi più complessi. Le prove richiedono diverse fasi e possono comportare la scelta di strategie di problem solving e dei relativi processi. Le prove tendono a chiedere di applicare senso dei numeri e senso spaziale, riconoscere e lavorare con relazioni, modelli e proporzioni matematiche espresse in forme verbali o numeriche, interpretare e analizzare dati e statistiche in testi, tabelle e grafici.

Lasciamo ora da parte, e certo non perché irrilevante, l’alfabetizzazione numerica, e restiamo un attimo ancora su quella funzionale, più legata alle tematiche di questa rubrica.

Per riassumere: la media delle competenze linguistiche e matematiche della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni sono significativamente inferiori alla media OCSE. Mentre nella maggioranza dei paesi, è solo una minoranza significativa che ha un livello davvero basso in AF et AN, in Italia, è ben il 27,7%  e il 31,7% degli adulti che ottiene i risultati più bassi rispettivamente in AF e in AN.

Altri dati problematici (cfr. sito OCSE): in AF come in AN la fascia più giovane della popolazione (16-24 anni) ottiene risultati significativamente inferiori alla media OCSE. Nei due ambiti i giovani adulti hanno risultati più elevati della parte più anziana della popolazione (55-65anni).
Il 26,9 % della popolazione adulta non ha nessuna esperienza con i computer e manca delle competenze di base in questo campo.

Nel confronto internazionale, l’Italia si colloca significativamente al di sotto della media OCSE. È vero che non è sola: Danimarca, Germania, Stati Uniti, Austria, Cipro, Polonia, Irlanda, Francia e Spagna rientrano in questa lista ma non, sistematicamente, agli ultimi posti. Sopra la media OCSE, si collocano Giappone, Finlandia, Paesi Bassi, Australia, Svezia, Norvegia, Estonia e Belgio le cui popolazioni di appartenenza si situano al livello 3; gli altri Paesi (Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Canada, Korea, e Paesi del Regno Unito) si collocano intorno alla media OCSE.

Gli indicatori di contesto

L’indagine individua tre indicatori che permettono di sottolineare la correlazione tra competenze e retroterra socioculturale:

  • Titolo di studio dei genitori;
  • Numero di libri posseduti durante l’adolescenza;
  • Condizione familiare.

Il primo e il terzo indicatore forniscono risposte risapute rispetto alla riproduzione sociale, cui spesso fornisce il suo contributo anche la scuola che il più delle volte non riesce a contrastarla. Rispetto ai libri posseduti, “appare interessante evidenziare che la presenza di libri a casa è una variabile correlata con migliori performance anche di soggetti che hanno un background familiare relativamente modesto (titolo di studio medio e basso del/dei genitori e punteggio medio del rispondente) […] Chi ha genitori con titolo di studio basso, se aveva almeno 26 libri a casa quando aveva 16 anni, raggiunge il punteggio medio di chi ha genitori con titolo di studio medio ed anche di chi ha genitori con un  titolo di studio elevato. Il possesso di libri acquista un maggior valore anche se la madre ha un titolo di studio basso”.

Dunque, una strada tutta tracciata per la scuola, la formazione, l’istruzione e l’educazione – intendiamo dire dalla scuola dell’infanzia all’Università – e per tutti gli insegnanti di lingue e materie altre: uno dei compiti fondamentali è fare amare il libro e la lettura. 

I dati ISTAT 2013 sulla lettura ci dicono che non stiamo proprio riuscendoci poiché solo il 49,3% della popolazione femminile e il 36,4% di quella maschile hanno letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’indagine, e globalmente si è passati dal 46% di lettori al 43 % tra il 2012 e il 2013. Altri dati sensibili però ci dicono dove poter agire per il futuro:

  • la differenza di comportamento fra i generi rispetto alla lettura inizia in età scolare, a partire dagli 11 anni;
  • la fascia d’età in cui si legge di più è quella tra gli 11 e i 14 anni (57,2%).

Per darsi un futuro

Per ritornare e concludere in modo purtroppo rapido rispetto alla ricerca PIAAC, altri dati sarebbero davvero interessanti da analizzare a fondo, per esempio quelli che individuano le caratteristiche di somma fragilità dei NEET (Non Education, Employment or Training), vale a dire i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non si formano e che rappresentano il 22,1% della popolazione giovanile (ISTAT). Dice l’indagine PIAAC che è questa la categoria più svantaggiata, di cui solo il 18,2% raggiunge il Livello 3.

Questi sono i giovani che la scuola non sa trattenere, non sa invogliare, non sa formare e sui quali è urgente interrogarsi a fondo alla ricerca di soluzioni educative e formative efficaci, perché si tratta di una percentuale considerevole di giovani che, se sono per ora in una sofferenza individuale e se questa sofferenza individuale non trova soluzione, rischiano di trasformarsi in problema sociale.

Secondo la sociologa francese Nathalie Mons "queste competenze sono direttamente correlate a una serie di indicatori sociali e politici: più una popolazione è educata, più l'impegno politico, associativo e la fiducia negli altri sono forti. È il legame sociale che viene così ad essere interrogato, cosa che non è per nulla neutra nella società attuale".
(ns traduzione, da "Une institution inégalitaire", Le Monde, 11.12.2013).

Due parole in conclusione: i dati della ricerca PIAAC spiegano davvero in parte la povertà valoriale, culturale e politica di questi tempi. Il 70% di italiani che non ha “il livello di competenze considerate necessarie per interagire in modo efficace nella società del XXI secolo”, se  ha compiuto 18 anni, può votare a pieno titolo. Vero, a pieno titolo, ma con quali competenze che ci possano garantire l’esercizio di una cittadinanza democratica responsabile, cosciente e coerente? Nulla da stupirsi nel vedersi susseguire sulla scena politica personaggi altrove neanche fantascientificamente immaginabili. Nulla da stupirsi se è lo stile istrionesco che affascina le nostre (povere e deboli) folle. Probabilmente non ci siamo seriamente interrogati su cosa vuol dire insegnare a pensare in modo critico.

E infine, che mi sia permesso, in quanto professionista delle lingue, di esprimere qui il mio aperto malcontento nel vedere la lingua italiana infarcirsi di tanti termini inglesi di cui si potrebbe fare a meno. Ho patito nel leggere i bei rapporti dell’ISFOL: perché background, quando c’è retroterra ? perché tool e non strumento? Da persona che percorre l’Europa, so che anche questo fa di noi un popolo (a volte) risibile e provinciale. Forse è l’ora di spolverare la lingua di questi doppioni anglosassoni e, soprattutto, d’assumere con energia e fierezza, azioni intelligenti ed efficaci perché la prossima indagine PIAAC ci permetta almeno un abbozzo di sorriso.

Note

[1] Australia, Austria, Belgio (Fiandre), Canada, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito (Gran Bretagna e Irlanda del Nord), Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Russia, Spagna, Stati Uniti di America, Svezia.

[2] Da qui in avanti le citazioni si rifanno al testo seguente:  ISFOL (2014) : PIAAC-OCSE – Rapporto nazionale sulle Competenze degli Adulti. Cfr. sitografia qui sotto.

[3] Rispettivamente tabella A3.4 (AF) e tabella A3.5 (AN) del testo citato.

Sitografia

Sito OCDE – PIAAC in francese 

Sito OCDE – PIAAC in inglese

ISFOL – PIAAC, in italiano

ISFOL (2013), Le competenze per vivere e lavorare oggi: principali evidenze dall’indagine PIAAC

ISFOL (2014), PIAAC-OCSE : rapporto nazionale sulle competenze degli adulti


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