Luoghi comuni. Concorsi e formazione degli insegnanti nella U.E. e dintorni
Pino Patroncini
I giornalisti, così lesti a prendere spunto dalle comparazioni internazionali (magari anche
travisandole) quando c’è da “bastonare” gli insegnanti, hanno perso l’occasione per demolire un
luogo comune imperante nella nostra e nella loro opinione pubblica: quello per cui il concorso per
esami, quello che comunemente nell’immaginario collettivo è il “concorso” sans phrase, sarebbe la
forma migliore, più rigorosa e magari anche più scientifica di reclutamento. Si tratta di un luogo
comune che normalmente nel caso italiano fa da pendant all’idea che chi dovesse entrare in ruolo
non col concorso ma, oggi, con la graduatoria ad esaurimento sarebbe una specie di parassita, di
“portoghese” dell’entrata in ruolo, insomma un docente di serie B. E’ un luogo comune che non
solo dimentica che, come ripetono spesso i precari, nella graduatoria ad esaurimento ormai la
maggioranza è costituita di persone che di concorsi ne hanno superato anche più di uno, ma che
dimentica anche che in realtà la graduatoria in questione è di fatto anch’essa un concorso, un
concorso per soli titoli (si chiamava proprio così in origine, dal 1991 al 1999, poi si è chiamata
graduatoria permanente dal 1999 al 2007), un concorso con tutti i crismi di legge. Altro che serie
B!
Ma soprattutto questo è un luogo comune che va insieme con l’idea che solo in Italia ci sia o ci sia
stata negli anni passati la possibilità di entrare in ruolo senza concorso. Ed invece non c’è idea più
sbagliata di questa.
Tornando ai nostri giornalisti, sarebbe bastato che avessero girato le pagine dell’ultimo rapporto
annuale dell’OCSE “Uno sguardo sull’educazione” (Education at a Glance), tanto avidamente
sfogliato, su suggerimento del MIUR, per alimentare l’altro luogo comune, altrettanto infondato,
secondo cui gli insegnanti italiani avrebbero un orario di lavoro settimanale più corto della media
europea. Avrebbero scoperto che la tanto blasonata assunzione con concorso per esami esiste solo
per 13 dei 35 paesi considerati dall’OCSE.
Se poi guardiamo all’Unione Europea solo 6 paesi (Italia,Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo
e Spagna) utilizzano il concorso per esami. La Danimarca lo utilizza solo per le assunzioni nella
scuola dell’infanzia. Quindi, se togliamo alcuni paesi di cui l’OCSE non da notizia (Lituania,
Lettonia, Romania, Bulgaria, Slovenia, Cipro e Malta), i rimanenti 14 paesi UE non ricorrono al
concorso per esami nella assunzione dei docenti.
Attenzione però, tra i paesi rimanenti ce ne sono alcuni (Regno Unito, Paesi Bassi, Finlandia,
Svezia…) che praticano la chiamata diretta!
Per correttezza va anche detto che tra questi 14 ce ne sono alcuni che per l’accesso ai percorsi di
studio o di formazione che immettono nell’insegnamento ricorrono al concorso: in Europa è il caso
dell’Austria ( ma solo per infanzia e primaria), della Finlandia e dell’Irlanda.
Ci sono nel mondo anche paesi, come l’Australia, Israele,la Corea, il Messico e la Turchia, che
fanno il concorso sia prima che dopo. Nell’Unione Europea questo capita solo alle maestre di scuola
dell’infanzia lussemburghesi, ma tenuto conto del percorso perverso di accesso ai Tfa tra questi
potremmo annoverare oramai anche l’Italia.
Solo pochi paesi prevedono tuttavia, per poter insegnare, una abilitazione aggiuntiva rispetto al
percorso di studi, quale quella finora in vigore in Italia per la scuola secondaria. Nella UE sono solo
il Regno Unito, la Germania e l’Irlanda.
Ormai il titolo richiesto per insegnare sembra essere ovunque la laurea lunga, in tutti i gradi di
scuola. Tuttavia in alcuni paesi vi sono quote più o meno notevoli di personale che non ne sono in
possesso. Il che testimonia il fatto che o si tratta di innovazioni relativamente recenti o vi sono
ordini scolastici o discipline dove è ancora ampio il ricorso a personale meno qualificato. La secondaria è sicuramente il settore in cui il 100% o quasi del personale è laureato, ma con
qualche eccezione: il 22% non lo è in Austria, circa il 15% non lo è nella Repubblica Ceca, in
Estonia, in Slovacchia, il 28% in Svezia. Ancora più rilevante è il fenomeno a livello di primaria:
Repubblica Ceca 13%, Estonia 33%, Finlandia, Slovacchia, Grecia e Ungheria intorno al 10%,
Svezia 18%.
Se la “laurea lunga” sta diventando il dato comune, può variare tuttavia la durata complessiva del
percorso di studi successivo alla secondaria, calcolando, naturalmente, anche la formazione
specifica rivolta all’insegnamento.
Per la scuola dell’infanzia i percorsi post-secondari sono prevalentemente triennali, con l’eccezione
di Danimarca, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, alcune parti del Regno Unito e della Svezia
che hanno 4 anni, nonché della Francia che prevede 5 anni.
Per la primaria ci si divide tra percorsi quinquennali (Repubblica Ceca, Finlandia, Francia,
Germania, Irlanda, Slovenia, Scozia, Slovacchia, Portogallo, Svezia) e quadriennali (Italia,
Inghilterra, Estonia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Ungheria, Grecia) ma non manca chi ricorre ancora
a percorsi triennali (Austria, Belgio, Spagna).
Per la scuola secondaria di primo grado il percorso è quasi ovunque quinquennale (anzi in Austria e
Germania di 5 anni e mezzo, 6 e mezzo per i percorsi ginnasiali tedeschi) tranne che in Danimarca,
Grecia, Ungheria, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia, dove è di 4 anni, in Belgio, dove è di 3, in
Spagna dove è di 6. Ma sta salendo a 6 anche in Italia e in Slovenia.
Lo stesso discorso vale più o meno per la scuola secondaria superiore il cui percorso di
preparazione raggiunge il suo apice in Germania con 6 anni e mezzo.
Tutti questi percorsi sono oggi comprensivi di tirocinio, chi già nel percorso scolastico, chi in quello
aggiuntivo di abilitazione. In alcuni paesi è previsto un tirocinio anche all’interno del periodo di
prova, a reclutamento avvenuto: è il caso della Grecia, dell’Ungheria, dell’Irlanda, del
Lussemburgo, della Scozia e della Spagna.
Solo alcuni paesi poi prevedono una formazione in servizio obbligatoria al fine del mantenimento
dell’impiego. Essi sono il Belgio francofono, il Regno Unito, l’Estonia, la Finlandia, la Francia (ma
solo per la primaria), l’Ungheria, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, nell’Unione Europea. Fuori
dall’Unione lo prevedono anche l’Islanda ( solo per l’obbligo), il Giappone, Israele e gli Stati Uniti.
Da Ecole www.ecolenet.it 17 dicembre 2012