Professore, nella lettera aperta su Il Sole 24 Ore di ieri, Fabio Beltram e Chiara Carrozza sostengono che i bandi del 27 dicembre per Prin e fondi "Futuro in ricerca" non vanno nella direzione della crescita e dello sviluppo. Quasi l'opposto di quanto ha dichiarato il premier Monti sulla "fase due". Che ne pensa?
Io sono partito basandomi sui dati europei: dicono che la capacità dell'Italia di acquisire risorse sulla ricerca è estremamente debole. Sul VII Programma quadro, che aveva una dotazione di 50 miliardi, a fronte di un investimento Paese del 15%, in sette anni riporteremo a casa progetti per un valore dell'8,5%: è una perdita secca di circa mezzo miliardo all'anno. L'VIII programma – "Horizon 2020" – disporrà di 80 miliardi. Partirà nel 2014: dobbiamo allenarci per competere in Europa. E non solo. Ma questo non avviene sostenendo singole eccellenze.
Però non tutti i posti, in Italia, sono uguali per "fare buona ricerca". Lo diceva anche lei da Rettore del Politecnico di Torino. Ha cambiato idea da quando è approdato al dicastero?
Niente affatto. Il punto è che non bisogna abbassare il livello, ma alzare l'asticella media. Sul precedente Prin (cioè i Progetti di ricerca di interesse nazionale) c'erano 5mila domande con 100 milioni a bando. Quest'anno i milioni saranno 170 e le domande, presumibilmente, 7mila. Ogni proposta andrà valutata da tre persone: un processo lunghissimo e, alla fine, poco efficace.
Come si può ovviare?
Intendiamo corresponsabilizzare le università: selezionino i progetti e presentino poi i migliori alla valutazione. I posti sono limitati per i coordinatori di progetto, ma non per i partner. È qui che il Paese deve crescere. La parte italiana dei Prin può valere circa 1,6 miliardi l'anno. Vogliamo perderla? Non si tratta di creare "cordate", ma gruppi di progetto, veri e propri team in grado di interagire al meglio.
Un cambiamento di mentalità, insomma: un discreto salto...
Un cammino di corresponsabilità, direi. L'aspetto "culturale" è strategico. Mi piace parlare del prossimo biennio come "palestra": alleniamoci da qui al 2014. Tempi veloci per le selezioni. E collegamenti internazionali, che è poi la condizione per creare un'importante quota di cofinanziamento dei progetti.
Le chiedono un intervento correttivo sui bandi del 27 dicembre, magari introducendo altri metodi selettivi. Lo farà?
Ritengo che la modalità scelta sia quella opportuna: il gioco di squadra. Anche gli atenei migliori debbono pensare di mettersi a disposizioni come partner di grande capacità. In Europa, d'altronde, si compete così.
La ricerca è una delle cinque misure per crescere del governo Monti. Lei a che cosa sta puntando?
L'Italia non ha l'abitudine a prepararsi in anticipo. Per cui lavoreremo anzitutto sulla formazione e sull'informazione. Dal 23 gennaio inizieremo un road-show proprio su "Horizon 2020". Tengo a precisare che non dimenticheremo, come ministero, anche il livello delle scienze sociali per ora non toccato a livello Ue. Poi resterà fondamentale, sul campo, l'allenamento intelligente sui bandi.
Parliamo di rapporto con il sistema delle imprese: se queste già sono in affanno, come pensate di far scattare un rapporto proficuo con le università?
Con i progetti Prin le aziende possono partecipare ai senza che siano loro assegnate risorse. Dopo la call dei fondi strutturali Pon "ricerca industriale" al Sud – ne abbiamo in valutazione sia per laboratori sia per distretti, sempre al Mezzogiorno – nel 2012 avvieremo una call analoga per il Centro Nord, con cifre importanti: circa 700 milioni in parte come fondo rotativo.
Nel 2012 ripartiranno i concorsi per l'Università. Lei dice che la riforma Gelmini va solo "oliata". Come si muoverà?
L'autonomia responsabile delle università sarà decisiva per determinare la "quota premiale". E creerà un ciclo virtuoso, perché sarà collegata anche a un indice della qualità delle persone "reclutate". Faremo in modo che nelle commissioni che dovranno scegliere tra chi ha avuto l'abilitazione nazionale vi siano anche professori non italiani.
Per il superconcorso annunciato per la scuola sarà diverso? Per fare spazio ai giovani bisognerà lasciare indietro i precari? Come sceglierete?
Contemperando le due esigenze, di chi ha esperienza e dei giovani che non possono aspettare. Penso a due canali di reclutamento: uno più grande, con le persone in graduatoria, l'altro più piccolo, per i giovani.
Che cosa si prefigge nei prossimi mesi per la scuola e per l'università e per la ricerca italiane?
Che siano messe in condizione di lavorare nei tempi. E con una capacità di visione. Il 2012 non potrà essere un anno con più fondi. Non ci saranno tagli, ma dovremo pensare a una reingegnerizzazione delle risorse, evitando sprechi e inefficienze.
È convinto che ce la faremo?
Sì, senz'altro. Io sono ottimista, altrimenti non farei quello che sto facendo. La situazione contingente è difficile. Ma dobbiamo iniziare a costruire il Paese di domani. L'Italia è migliore di quello che appare, in particolare nel mondo della formazione e dell'istruzione. Ma ha assoluto bisogno di regole ottimali: per il sistema e non per i singoli. Dobbiamo diventare un po' più generosi. Può essere un auspicio?