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Licei, tecnici e professionali. Così si «escludono» i talenti. Come cambiare

Nel volume «Equità e merito nella scuola» gli autori analizzano i rischi della meritocrazia senza uguaglianza. E fanno alcune proposte di riforma

01/06/2021
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Corriere della sera

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di Luciano Benadusi e Orazio Giancola, autori del volume Equità e Merito nella scuola, Franco Angeli, 2021

Eguaglianza e merito sono due concetti-guida che vengono spesso contrapposti come inconciliabili nei dibattiti sull’equità in educazione. Con il volume «Equità e merito nella scuola» (F.Angeli, 2021) abbiamo cercato di rivisitare il tema dell’equità, ossia della giustizia sociale, offrendo per la prima volta una lettura integrata delle sue tre dimensioni – la teorie (filosofiche e delle scienze sociali), le indagini empiriche di tipo quantitativo, le politiche facendo così dialogare tre diversi filoni di ricerca e di letteratura scientifica. Merito ed eguaglianza sono in effetti le due polarità tra le quali si collocano i diversi approcci all’equità nella società come nella scuola. Ne abbiamo analizzati cinque: la meritocrazia classica; il neo-liberismo; l’eguaglianza delle opportunità; l’eguaglianza delle capacitazioni; l’eguaglianza delle condizioni o dei risultati per l’inclusione. La prima si dispone sulla polarità del merito; la seconda – il neo-liberismo - si pretende meritocratico ma in realtà è lontano sia dal merito che dall’eguaglianza essendo la sua una giustizia «di mercato», e per il mercato il merito è un concetto estraneo. Gli ultimi tre approcci sono tutti progressivamente più prossimi al polo dell’eguaglianza. Tuttavia, tra merito ed eguaglianza non si da una opposizione binaria del tipo o/o. L’eguaglianza delle opportunità, conosciuta anche come eguaglianza dei punti di partenza, rappresenta una forma di meritocrazia depurata degli influssi che sulle prestazioni individuali degli studenti hanno i fattori contestuali (classi e status sociali delle famiglie, territori, generi, etnie), ed è per questo motivo che la abbiamo definita una meritocrazia «pura» distinguendola dalla meritocrazia classica considerata «spuria». Depurare non significa però resecare, quindi diversi elementi della meritocrazia classica possono convivere con quelli della eguaglianza delle opportunità.

Il falso merito

Il punto è che la meritocrazia in tutte le sue versioni resta un ideale di giustizia eticamente insufficiente perché basato su gare competitive tra gli individui indifferenti alla sorte dei perdenti. Di qui la necessità di combinarlo con l’eguaglianza dei risultati in funzione dell’inclusione, un approccio permeato da valori democratici e di solidarietà. Ed è proprio tale combinazione il modello da noi assunto nella parte del libro dedicata alle analisi empiriche, effettuate in un’ottica non solo italiana ma anche di comparazione internazionale. E’ a livello della scuola secondaria superiore che in Italia diseguaglianze di opportunità ed esclusioni (abbandoni precoci) continuano a palesarsi in tutta la loro forza. Un fattore molto importante di differenziazione delle performance ai test standardizzati (la fonte usata è l’indagine Oces-Pisa) risulta associato alla struttura ordinamentale del sistema educativo italiano. La tripartizione tra licei, istituti tecnici e istituti professionali invece di essere un punto di forza, data la potenziale varietà dell’offerta formativa, si trasforma in un fattore di segregazione educativa a danno dei figli di genitori poco istruiti. Quindi ha un impatto negativo sia sull’equità che sulla performance aggregata a livello di sistema. Si conferma così un dato che risalta dalle nostre analisi comparative sull’impatto delle politiche: la superiorità dei sistemi che, a differenza dell’Italia, hanno adottato in modo più radicale il modello della scuola “comprensiva” finalizzandolo alla universalizzazione delle competenze fondamentali.

La forchetta tra chi studia e chi no

Un altro fattore dirimente è da noi notoriamente quello di natura territoriale: il permanere di enormi divari tra nord, centro e sud. I dati presentati per la popolazione adulta (nostre elaborazioni su fonte Ocse-Piaac, la più ampia indagine sulle competenze della popolazione in età 16-65 anni) mostrano un costante miglioramento nel tempo, notizia solo parzialmente positiva perché tale miglioramento si accompagna ad una crescente divaricazione del differenziale di competenza tra i più e i meno istruiti. In tal senso i meno istruiti, cioè coloro che ricadono nella condizione tipica della cosiddetta «povertà educativa», sono doppiamente penalizzati: per il livello di competenze in sé ma anche per le ricadute lavorative, di capacità di attivazione e di partecipazione civica. E l’Italia in termini sia di inclusione che di eguaglianza delle opportunità figura molto indietro a confronto con gli altri paesi europei. D’altronde, la tendenza ad una relativa diminuzione delle disuguaglianze, per un certo periodo comune all’Italia e ad altri Paesi ad economia avanzata, sembra essersi interrotta: vecchie e nuove diseguaglianze continuano a prodursi e riprodursi. Allo stesso tempo, le politiche educative, sulle quali si intrattiene l’ultimo capitolo del volume, sembrano essere entrate in una fase di stallo relativo sia in conseguenza dell’instabilità dei cicli economici (tagli alla spesa pubblica in istruzione) che per l’affermazione di nuove correnti neoliberali che aprono spazi di quasi-mercato dagli incerti esiti in termini di equità ma anche di performance.


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