Libri digitali, ecco perché nelle scuole italiane stentano a decollare
L’1% dei libri usati a scuola è esclusivamente digitale. La maggior parte è mista, ma solo due ragazzi su dieci accedono online ai contenuti multimediali. «Poche aule digitali», dicono gli editori. Il Miur nega. E c’è anche un problema di piattaforme
Solo l’1% della spesa per libri scolastici, che ammonta ad un miliardo di euro, è investita in testi esclusivamente digitali. In circolazione ci sono 6 mila titoli solo digitali (su 35 mila) e, come se non bastasse, si stima che solo il 20% degli studenti consulti la parte digitale dei libri misti (carta ed elettronica), che rappresentano l’85% del mercato complessivo. A dispetto di tutti gli allarmi per lo zaino pesante, e della circolare Carrozza, che nel 2013 sanciva la liberalizzazione dei testi scolastici, varando una serie di risparmi per le famiglie che avrebbero adottato gli e-book, il libro digitale resta ancora una rarità. Guardata con sospetto dalle famiglie, con disagio da una generazione di professori non più giovane (51 anni l’età media), la rivoluzione digitale a scuola fatica a decollare. «Per introdurre il digitale ci vuole intelligenza e metodo», sottolinea la dirigente Luciana Ceccarelli, la prima che ha portato nelle scuole del I ciclo la rete Book in progress, che autoproduce, grazie al lavoro di 800 docenti sparsi in tutta Italia, i libri scolastici: non solo digitali.
Le ragioni di un fallimento
Cartelle super-cariche e costi lievitati non hanno spinto il digitale nelle scuole italiane. Le ragioni di quello che appare a prima vista come un fallimento - «Il libro del futuro sarà sempre meno cartaceo e sempre più elettronico», enunciava un comunicato del Miur del 27 settembre 2013- sono molteplici e complesse. «C’è tanta offerta e poco consumo», dice Alfiero Lorenzon, direttore dell’Associazione italiana editori. «Gli editori stanno investendo tantissimo, tant’è vero che i titoli solo cartacei sono rimasti pochissimi. Quasi tutti i libri scolastici ormai hanno una parte digitale, che comprende in genere esercizi autocorrettivi, spiegazioni con slide, esperimenti, percorsi multimediali di ricerca. Ma il fatto che solo il 20% dei ragazzi vada a consultarli, pur avendoli a disposizione, significa che la parte digitale non viene usata molto dalla didattica.Il motore non è più immobile- insiste Lorenzon- ma va con la prima. L’impressione è che le scuole non siano ancora preparate, anche per la banda larga: solo il 25% delle aule è digitale». Un’accusa che però il ministero dell’Istruzione respinge in pieno, sottolineando che con un investimento di circa 88 milioni di fondi europei è stato possibile finanziare lo scorso autunno 6.108 scuole per la realizzazione di nuove rete wi-fi (4532) e/o ampliamento della rete esistente. Considerato che i plessi attivi - da Anagrafe dell’edilizia scolastica- risultano essere 35 mila circa, solo con questo intervento verrà cablato, entro dicembre, circa il 60% degli edifici e quindi dei plessi. Che si aggiunge al 20% delle scuole che risulta essere già cablato. «L’obiettivo, per il 2018, è di arrivare al 90%», dicono fonti di viale Trastevere. E gli accordi che si stanno siglando con le Regioni (in primis Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna) servono anche a velocizzare questo processo.
Problema di piattaforme?
Allora cosa manca? Attualmente nelle scuole primarie e secondarie di primo grado meno dell’1% dei libri è esclusivamente digitale, e anche alle scuole secondarie di secondo grado, dove in genere la digitalizzazione è ben accetta dagli studenti, si ferma all’1,1%. «Spesso c’è anche un problema di piattaforme- rileva Giampiero Monaca, insegnante di scuola primaria ad Asti e fondatore dell’associazione Bimbisvegli, che promuove un equilibrio tra analogico e digitale- Molti sono usufruibili solo con sistema Windows, pochi per Mac Osx e pochissimi per Ubuntu o altri, il che è una brutta violazione del pluralismo: se una casa editrice pubblica un libro ministeriale, il ministero dovrebbe pretendere che la sua fruizione sia universale».
«In effetti il wi fi non è sempre essenziale- conferma la preside Ceccarelli - Molti libri si scaricano sul computer o sull’iPad, ma spesso i ragazzi non possono usare il materiale digitale perché con i mezzi che hanno a disposizione non funzionano. E poi il libro digitale non può essere semplicemente un Pdf che si può leggere sullo schermo, ma deve avere contenuti extra, e questo significa per gli editori assoldare squadre di esperti che li realizzano. Purtroppo c’è poca autoproduzione: anche noi di Book in progress prima facciamo la versione cartacea poi quella multimediale, che richiede delle competenze specifiche. Se la versione digitale è fatta bene, è un vantaggio enorme, anche per i ragazzi con problemi di apprendimento. Sono convinta che il futuro sia lì». E infatti di istituti che sfruttano il digitale per dare un valore aggiunto all’istruzione dei propri studenti ne esistono diversi in Italia: dal liceo Copernico di Brescia al Majorana di Brindisi. L’istituto comprensivo di Carrara, ad esempio, con i suoi 1200 studenti, vanta classi «flipped», laboratori di storia, tecnologia e scienze, i-Pad per studenti, un gruppo di docenti che fa assistenza e micro corsi agli insegnanti meno pronti sul digitale: «Ma ci stiamo lavorando da anni- rivendica Ceccarelli- Ho fatto progetti, strappato quattrini agli industriali, usato fondi ministeriali: ho fatto delle scelte precise. Perché del digitale a scuola bisogna fare un uso intelligente».